Per dare un futuro ai giovani è necessario puntare sulla competitività
04 Gennaio 2011
Finalmente in Italia ci si è accorti della drammaticità di una condizione giovanile che deve misurarsi, per la prima volta da secoli, con un futuro senza certezze e poche speranze. Peccato però che ciò sia avvenuto con il pretesto sbagliato e ad opera dei soggetti meno abilitati.
Sbagliato è il pretesto della Riforma Gelmini, che in realtà è il primo serio tentativo di riaprire qualche porta ai nuovi talenti, dopo l’ermetica chiusura operata, ad uso e consumo proprio e dei propri cari, dalla peggiore generazione della storia italiana, quella che aveva ereditato dai padri un mondo libero e ricostruito dalle macerie di una guerra devastante, in marcia verso obiettivi sempre più alti e diffusi di benessere, e si appresta a consegnare ai figli il terzo debito pubblico del mondo, all’insegna dell’egoismo e di un desolante deserto di valori, perseguendo nei fatti una sorta di masochistica decrescita.
Sbagliati anche i soggetti, che sono i nostalgici del tempo in cui, nel segno di un consociativismo vorace ed opaco, si creavano alacremente le premesse dell’appropriazione indebita del futuro delle generazioni a venire, in un sistema fondato sull’istituzionalizzazione dei privilegi degli inclusi, a prescindere dalle loro capacità, a scapito dei diritti di chi – per ragioni anagrafiche – non aveva fatto in tempo ad entrare nel recinto. Ed infatti la costante di questo movimento pseudo-giovanilistico è un conservatorismo cieco e reazionario, volto sistematicamente ed ossessivamente alla salvaguardia del più indifendibile e anti-giovanile degli esistenti.
Invece c’è un solo modo per affrontare con qualche speranza di successo l’emarginazione crescente del mondo dei giovani: mettere in atto una politica coraggiosa ed innovativa, che faccia ripartire la crescita del sistema-Italia in un mondo globalizzato in cui, non a caso, stanno stravincendo le economie meno ingessate da protezionismi asfissianti, in cui – piaccia o non piaccia – il capitalismo è più libero di sviluppare le sue potenzialità. E’ già un miracolo che l’Italia abbia ripreso a crescere nonostante i pesanti gravami ideologici, burocratici, fiscali e corporativi che ne appesantiscono il cammino, ma se questi gravami non saranno rimossi non ci risparmieremo un malinconico declino che pagheranno soprattutto le generazioni innocenti.
Se così è, la rivoluzione di Marchionne, sostenuta dai Sindacati meno ideologicizzati e da una netta maggioranza dei lavoratori, si muove sulla strada giusta per ridare al sistema-Italia la snellezza e la velocità necessarie per non farci perdere troppo terreno rispetto al resto del mondo, e le pur timide aperture alla meritocrazia – come quelle della Gelmini e di Brunetta –, si muovono anch’esse nella strada giusta per sostenere questa rivoluzione.
La sfida da vincere è quella della competitività, che passa attraverso la rottura di quel reticolo di privilegi e di divieti protezionistici dietro cui si è finora accomodato il cinico egoismo di una generazione, quella dei sessantottini, che oggi racconta la sua ennesima menzogna accreditandosi le ragioni delle sue vittime.
Una sfida tanto più ineludibile nella Puglia di Vendola, dove i vecchi interpreti del sessantottismo hanno il controllo politico della Regione e lo esercitano all’insegna di una visione ideologica dell’economia che nasconde, dietro un giovanilismo di facciata, il record nazionale di perdita percentuale di posti di lavoro. Con un picco inquietante e significativo proprio in riferimento ai laureati, che si traduce nella conseguente fuga di massa dei giovani cervelli.