Per Erdogan il problema non è più Gaza ma la Siria
17 Giugno 2011
La Turchia fa marcia indietro sulla Siria. L’Ihh, l’organizzazione fondamentalista turca che l’anno scorso sponsorizzò la flottiglia umanitaria verso Gaza che fu attaccata dalla marina israeliana, potrebbe sfilarsi dalla missione di quest’anno e non salpare nel mese di luglio. La motivazione ufficiale del ripensamento è la grave situazione dei rifugiati al confine con la Siria.
“Stiamo riconsiderando i nostri piani – ha detto al quotidiano Hurriyet Huseyin Oruc, uno dei dirigenti dell’organizzazione -. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a quello che sta succedendo a un passo dai nostri confini. Ogni Paese ha il suo bilancio, dal nostro punto di vista gli sviluppi in Siria, un Paese che confina con noi sono importanti e critici”. La decisione finale sarà nota a fine settimana, ma intanto un ruolo potrebbe averlo giocato la moral suasion di Ankara nei confronti delle Ong, mentre Israele parla già di un segnale positivo che potrebbe condurre alla ripresa dei rapporti.
Per il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, Bashar Assad è sempre stato “un caro amico” (anche se solo e soltanto a parole) ma sembra che le cose adesso stiano diversamente e che anzi, il dietrofront sia il frutto di un vero e proprio calcolo.Il premier turco adesso definisce le politiche siriane una barbarie e ha anche dichiarato che la Turchia non può venire in aiuto della Siria nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, se continua imperterrita con la sua repressione. Insomma, adesso Damasco è diventata la nuova Gaza , non solo perché rappresenta una minaccia per la politica estera di Ankara, ma soprattutto perché rappresenterebbe un pericolo per la Turchia stessa.
Il fatto che ogni giorno si consumino in piazza manifestazioni contro la repressione siriana la dice lunga. Solo pochi giorni fa Erdogan è stato riconfermato a capo del governo e i turchi si stanno con giusta ragione chiedendo quale linea adotterà il governo per far fronte a quanto stanno patendo i siriani, soprattutto perché i cittadini temono che la Turchia possa diventare, dato l’afflusso massiccio di profughi, una sorta di rifugio e di zona franca. Ed è decisamente l’ultima cosa di cui il Paese, che deve sforzarsi di mettere in atto la propria politica interna, ha bisogno.
La Turchia, poi, ha anche bisogno di prendere in considerazione un’altra possibilità, quella che il regime siriano potrebbe in futuro attaccare le aree dei ribelli curde e spedire un flusso di profughi in Turchia. Da parte sua, Erdogan, che ha subìto un duro colpo elettorale proprio per mano dei curdi turchi, non può del resto impedire che questi rientrino nel suo territorio se decidono di fuggire, dopo che ha concesso asilo agli altri cittadini siriani.
In questa situazione Ankara è costretta a prendere una posizione coerente contro la Siria, continuando ad applicare pressione su Assad e seguendo la strategia di Stati Uniti ed Europa (a cui si sono sottratte Russia e Cina) – che non credono più sia possibile raggiungere un compromesso con il regime siriano -, per costringere il presidente della Siria a fermare la repressione in atto e dare avvio a un periodo di riforme. Il timore della Turchia è che la vicenda della nuova flottiglia di Gaza possa distrarre l’opinione pubblica mondiale dalla questione siriana. E mentre gli americani stanno facendo pressione sui turchi per fermare la flotta, ma la pressione esisteva già prima che la rivolta in Siria esplodesse, la Turchia continua fermamente a chiedere a Israele un risarcimento per quanto successo al Mamara Mavi.