Per essere utile l’università deve concludersi con attività extracurriculari
07 Maggio 2010
A differenza di quanto succedeva in passato, l’accesso all’università in Italia non è più riservato ad una cerchia ristretta di individui ma si configura come sostanziale diritto di tutti coloro che, con più o meno successo, sono riusciti a conseguire il diploma di maturità. Visto da molti come una conquista della società, da altri come un nonsense che disperde le risorse pubbliche a disposizione del sistema universitario, rimane il fatto che questo sistema svuota di significato la laurea. Oggi, infatti, il “pezzo di carta” non rappresenta più il valore aggiunto idoneo a facilitare la collocazione nel mondo del lavoro, ma il prerequisito per poter accedere alle professioni.
Una volta laureati, dunque, il problema sta nel riuscire ad intuire il reale valore dell’aspirante lavoratore. Alcuni potrebbero affermare che il voto di conseguimento è un valido indicatore, ma nessuno può negare che in un sistema come quello italiano, fatto di tanta teoria e poca pratica, quel voto riflette maggiormente le capacità mnemoniche e la costanza dello studente che le effettive capacità. Nel tentativo di ovviare al problema e sulla scorta di quanto avviene ormai da anni negli Stati Uniti, alcuni atenei hanno iniziato ad incoraggiare la partecipazione a programmi extracurricolari, trasformandoli in ragioni di valutazione del candidato in sede di laurea.
Questi programmi non hanno solo la funzione arricchire lo studente ma consentono anche una valutazione che vada oltre la media aritmetica dei voti conseguiti durante il percorso. Tra i programmi offerti agli studenti di giurisprudenza, il più interessante e completo è il Willem C. Vis International Commercial Arbitration Moot. Noto come l’olimpiade dell’Arbitrato Internazionale, il Moot è una competizione che si svolge con cadenza annuale (da 17 anni) a Vienna. Con la partecipazione di 250 Università provenienti da tutto il globo, si è affermato come la più importante simulazione processuale a livello mondiale.
Le regole sono semplici: una delegazione (che va tra i 2 e gli 8 studenti) per università, un coach (notoriamente un avvocato o un giudice esperti di diritto dell’arbitrato) e un caso da risolvere. Il tutto in lingua inglese. Il caso viene assegnato i primi di ottobre e gli studenti, con l’aiuto del coach, devono preparare una prima memoria in favore dell’attore (il cosiddetto claimant) e una seconda memoria in favore del convenuto (il respondent) entro la fine di Gennaio.
Terminata la fase scritta inizia la preparazione all’udienza orale. Gli studenti si “allenano” ad esporre il caso in pubblico, a convincere la giuria delle proprie ragioni e soprattutto ad affrontare un vero e proprio dibattito processuale. Tra la fine di Marzo ed i primi di Aprile iniziano i round eliminatori. Come in un evento sportivo, vengono sorteggiati i gironi e fissate le date delle udienze. L’udienza è pubblica e si svolge dinnanzi ad una giuria composta da 3 individui: un giudice, un avvocato di diritto dell’arbitrato ed un ex partecipante della competizione.
In ciascuna udienza ogni università riceve un punteggio e passano il turno le università che hanno accumulato più punti in termini assoluti durante le eliminatorie. Superato questa fase si passa all’eliminazione diretta, che termina naturalmente con la finale cui segue la proclamazione del vincitore e l’assegnazione del premio come miglior oratore.
Programmi come il Moot rappresentano un percorso fondamentale che tutte le università italiane dovrebbero intraprendere elaborando progetti dello stesso tipo. Dal punto di vista dello studente, queste iniziative permettono di confrontare la propria preparazione con quella dei colleghi ed anche di testare la propria preparazione nel delicato momento che precede l’ingresso nel mondo del lavoro. Gli ordini professionali sono aiutati nell’individuazione del potenziale professionista dotato di una preparazione completa. Le università infine sono costrette a stabilire standard rigidi di selezione per garantire un elevato livello qualitativo dei partecipanti. A tal proposito bisogna garantire a tutti la possibilità di partecipare alle selezioni ma senza che questo degeneri in un diritto di partecipazione diffuso che inevitabilmente sminuirebbe, se non addirittura azzererebbe, il valore aggiunto di tali attività.