“Per far funzionare la giustizia servono riforme ma anche procure efficienti”
28 Maggio 2010
Per far funzionare la giustizia servono le riforme ma anche procure organizzate ed efficienti. E i costi della giustizia penale non devono gravare sui cittadini. A maggior ragione in tempi di vacche magre e coi cordoni della borsa da tenere ben serrati, come la crisi internazionale impone. E’ un problema di risorse, ma anche di organizzazione di un sistema troppo lento e farraginoso. Una possibile via d’uscita c’è e a indicarla non è il politico di turno ma un magistrato di quelli in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata: Antonio Laudati, procuratore di Bari. Non si piange addosso, come spesso alcuni suoi colleghi fanno, tantomeno aderisce al coro di quelli che preferiscono sentirsi "vittime" del sistema (politico). Preferisce rimboccarsi le maniche e proporre la sua ricetta. Con un’analisi sulla riforma della giustizia, alla luce dei provvedimenti che il governo Berlusconi si appresta a varare.
Procuratore Laudati, perché la giustizia funziona male?
La giustizia funziona male perché viene percepita dal cittadino come una giustizia lenta. Per questo, sono convinto che possiamo fare tutte le riforme possibili ed immaginabili, ma se non puntiamo a un’organizzazione più efficiente della giustizia penale, il risultato non cambierà: continueremo ad avere una giustizia che funziona male.
Dunque è un problema di costi, risorse e organizzazione del lavoro nelle procure?
E’, come dicevo, un problema di organizzazione. Ci sono tre elementi che io ritengo indispensabili perché questa possa dirsi tale: la gestione delle risorse non può non riguardare tutti gli enti che fanno parte del Distretto della Procura. Quella di Bari, per esempio, comprende oltre la provincia di Bari, quella della Bat e quella di Foggia. Per questo io auspico una sinergia, ognuno con il proprio ruolo tra Procura, Regione, Provincia e Comune proprio per la gestione delle risorse. Il secondo elemento, che poi è una conseguenza di quello che ho appena esposto, è che i costi della giustizia penale non devono gravare sulle tasche dei cittadini, ma i soldi devono essere recuperati mettendo le mani nei portafogli della criminalità. Insomma, una giustizia penale in grado di autofinanziarsi. E, poi, è chiaro che bisogna lavorare sui tempi della giustizia. Se un pubblico ministero lavora in tempi rapidi potrà farlo bene o male. Se i tempi sono lunghi, giustizia – come si dice – non è mai fatta perché il cittadino ha aspettato troppo tempo per ottenerla.
Lei propone l’autofinanziamento della giustizia penale. Di che si tratta, in concreto, e come può essere attuabile?
Per la verità questa forma di autofinanziamento della giustizia penale nella Procura di Bari io la sto già sperimentando. Poco meno di due mesi fa il ministro Angelino Alfano, su mia proposta, è venuto a consegnare alla Procura di Bari cinque auto di grossa cilindrata che avevamo sequestrato nell’ambito dell’operazione Domino (clan Parisi). Non solo, i soldi che ho posto sottosequestro (come nel caso della Merrill Lynch per 120 milioni di euro o nell’operazione Domino per 230 milioni), oppure quelli rinvenienti dalla Farmatruffa (altri 23 milioni) potrebbero, nell’attesa di essere riconsegnati agli enti parti lese del processo, fruttare interessi bancari che poi potrebbero essere immediatamente rinvestiti nella giustizia.
Anche gli enti locali potrebbero avere un ruolo specifico?
Il ruolo degli enti locali è esattamente quello di gestire insieme queste risorse. Quello di lavorare in maniera sinergica per cercare di non gravare sui cittadini, ma trovare all’interno le soluzioni possibili, come quelle che ho elencato precedentemente.
In cosa consiste il "Piano strategico per la giustizia a Bari" che presenta oggi a Roma in occasione del convegno dal titolo emblematico "Organizzare la giustizia" al quale prende parte anche il Guardasigilli Alfano?
Il "Piano strategico per la giustizia a Bari", che a Roma vedrà solo la costituzione di un comitato scientifico che nei prossimi mesi lavorerà per la realizzazione di un grande convegno nel capoluogo pugliese, prevede due momenti: quello dell’organizzazione e quello dell’edilizia giudiziaria. E’ chiaro che al ministro Alfano che sarà presente a Roma io chiederò che la Procura di Bari sia potenziata di almeno altri 10 sostituti. Ho pronto uno studio comparato tra le diverse Procure italiane metropolitane che dimostra, dati alla mano, come quella di Bari per abitanti e consumazione di delitti derivanti anche dalla criminalità organizzata, è decisamente sotto-organico. Se, poi, a tutto questo si aggiunge che la giustizia viene amministrata in un palazzo del tutto inidoneo a ospitare uffici giudiziari, sia per decoro sia per insufficienza di spazi, allora si capisce come pensare a un Piano strategico per Bari è non solo utile, ma indispensabile.
Un altro dei problemi contingenti riguarda l’organizzazione del lavoro nelle procure con evidenti differenziazioni di metodo ad esempio tra le procure del nord e quelle del sud. Non è una questione nord-sud, ma un dato oggettivo che in alcune procure del Meridione nel pomeriggio è difficile trovare gli uffici giudiziari aperti, con conseguenti disagi sia per i cittadini che per gli avvocati. Secondo lei cosa c’è da fare? A Bari che soluzione ha adottato e con quali risultati?
Potrei risponderle che io sono in ufficio anche oltre le 20… e sono disponibile a ricevere tutti, avvocati e cittadini; credo che altri miei colleghi qui a Bari abbiano la stessa disponibilità. Lo dico perché non appaia il solito Nord efficiente e il solito Sud sfatigato. Poi, è chiaro che le eccezioni esistono dappertutto. Sul piano dell’ottimizzazione delle risorse esistenti (28 sostituti fra Procura antimafia e Procura ordinaria), invece, ho creato i pool: non ci sono più singoli pm che lavorano su un caso, ma si lavora in gruppo e questo ha un doppio beneficio, i tempi più snelli e veloci nella chiusura delle indagini e per gli indagati la garanzia che ogni provvedimento preso è vagliato da tre persone oltre che da me nel momento finale.
Lei propone di destinare le risorse sequestrate alla criminalità organizzata al funzionamento della giustizia. Ma è ciò che sta già facendo il governo con la creazione dell’Agenzia nazionale.
Guardo con grande interesse all’Agenzia nazionale alla quale sta pensando il governo, anzi la ritengo un modello da seguire anche a livello decentrato. Per altro, si parla così tanto di federalismo e autonomia, perché non farlo anche sul piano giudiziario.
La riforma della giustizia è una delle priorità del governo Berlusconi che ha già varato la revisione del processo civile e incardinato quella del processo penale. Qual è la sua valutazione?
Credo sia un primo passo per un servizio più efficiente della giustizia, ma come le ho detto precedentemente, ritengo che l’organizzazione più efficiente sia prioritaria rispetto a qualsiasi riforma.
In questi giorni uno dei temi più caldi sul fronte giustizia riguarda il ddl sulle intercettazioni telefoniche. L’idea di fondo è regolamentare uno strumento importante ai fini investigativi ma del quale spesso certe procure hanno abusato, cercando il giusto equilibrio tra le esigenze delle indagini, la tutela dei diritti dei cittadini (privacy) e quella del diritto di cronaca. Cosa ne pensa?
Gli strumenti investigativi non sono buoni o cattivi è l’uso che se ne fa, anzi l’abuso che se ne fa che ha reso le intercettazioni uno strumento "sotto accusa" quando, in alcuni casi, hanno svelato al pubblico (a seguito di pubblicazione sulla stampa) la vita privata di persone intercettate nell’ambito di un’inchiesta. Anche a questo proposito credo che occorra il giusto equilibrio fra l’attività investigativa e la tutela della privacy. Del resto, al di là di ogni disegno di legge, basterebbe che si lavorasse tutti in modo più dentologico. Magistrati e giornalisti.