Per far fuori il Cav. la sinistra ancora raccoglie firme e scimmiotta Gramsci

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Per far fuori il Cav. la sinistra ancora raccoglie firme e scimmiotta Gramsci

24 Gennaio 2011

Per quanto possa sembrare incredibile, per una volta può accadere di trovarmi d’accordo con Paolo Flores d’Arcais. È accaduto domenica 23 gennaio. L’indignato permanente, il moralista impietoso, l’integerrimo guardiano della legalità repubblicana ha scritto un articolo sul "Fatto quotidiano" nel quale ha censurato aspramente (com’è suo costume) la ridicola iniziativa del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, di promuovere la raccolta di ben dieci milioni di firme contro Berlusconi. Una boutade, l’ha definita Flores d’Arcais, non senza ragione. Ed ha argomentato: "Dieci milioni è grosso modo il numero di voti di cui è accreditato il Pd nei sondaggi. E il rapporto tra consenso elettorale e capacità di mobilitazione (di piazza, di raccolta di firme " fisiche", perfino di adesioni via internet) è di trenta a uno, venti a uno, dieci a uno in casi eccezionalissimi, come sa chiunque, dirigenti del Pd compresi". Perciò, ha concluso Flores, far firmare un appello "a dieci milioni di cittadini in pochi giorni è realistico quanto annunciare di voler sbarcare su Marte questa notte". Ineccepibile. "Un atto di irresponsabilità", lo ha definito. Come non essere d’accordo? È proprio vero, i democrats sono particolarmente abili a farsi male da soli, senza l’aiuto di nessuno.

Ma anche Flores d’Arcais, che proviene dalla stessa scuola, non è da meno quanto a costruttore di boutades politiche. Infatti, qualche capoverso dopo, tenta un’acrobazia retorica che gli riesce decisamente male. Infatti dice che l’espediente di Bersani rischia di "bruciare" quella che secondo lui sarebbe l’iniziativa intelligente e produttiva di effetti, vale a dire la "mobilitazione generale repubblicana" contro l’odiato Caimano. E chi dovrebbe organizzare le masse al fine di ottenere questo nobilissimo risultato? I sindacati, i partiti, gli studenti, gli operai, i disoccupati, i borghesi, i proletari, gli sfigati? Neppure per sogno. Soltanto gli intellettuali possono e debbono farlo. "Perché è davvero impensabile – scrive Flores – che di fronte ad una definitiva dichiarazione di guerra contro la Costituzione", così almeno gli è apparsa l’intemerata di Berlusconi contro i suoi inquisitori, non insorgano i Nobel, gli scrittori, i registi al punto di catalizzare "quella gigantesca rivolta morale che, sola, può ancora salvare l’Italia".

Avete capito? Dovremmo attenderci, fin dalle prossime ore, che l’appello, molto più solido e sensato dell’ex-trozkista Flores d’Arcais rispetto a quello miserello e casereccio di Bersani, venga accolto dalla stragrande maggioranza degli italiani che non vedono l’ora di sentirsi chiamare da Camilleri e Tabucchi, Eco e Fo, i fratelli Taviani e Scola, Melissa P. e Murgia – solo per fare qualche nome degli "impegnati" a difesa del sistema costituzionale, della democrazia e della moralità repubblicana. In che modo, il furente ideologo non lo dice, ma poco importa. Quel che conta è l’intenzione; anzi, lo scopo: diffondere il morbo dell’intolleranza contro chi è già stato bollato ed additato come il nemico oggettivo, il male assoluto.

Perché attendere un processo, una sentenza, oppure attenersi al democratico responso delle urne? Di questi tempi è di moda il giacobinismo, la stagione del Terrore che dopo più di due secoli celebra i suoi fasti in un Paese che se ne tenne alla larga quando esplose in tutta la sua drammaticità nella vicina Francia. E che il sabba attorno alla nostra declinante democrazia abbia inizio, dunque.

Si comincia sempre con una boutade, per dirla con Flores d’Arcais, e non si sa mai dove si va a finire. Dovrebbero saperlo i Custodi della Moralità che occupano alcuni dei posti più elevati nelle gerarchie repubblicane, i quali, non diversamente da ex-rivoluzionari inaciditi, pretendono da Berlusconi, senza processi e senza sentenze, a prescindere dal consenso di cui gode testimoniato da tutti i sondaggi, le dimissioni da premier per liberare finalmente l’Italia dalla sua ingombrante presenza politica.

Possono servire alla bisogna stuoli di zoccole e giornali-partito a costruire la forca mediatica all’usurpatore che trascorre notti insonni nella sua villa brianzola bevendo Sanbitter servito da procaci e forse ciniche signorine danzanti? Ecco approntata la scena del crimine a cui si deve imperativamente credere. Se poi non è proprio come si dice, va bene lo stesso: è l’obiettivo che conta, mica si può sempre stare a guardare il pelo (che poi è la sola cosa rilevante nella lotta politica in corso), al fine di aver la certezza che la condanna plebiscitaria sia fondata o meno.

Insomma, invocare la rivolta morale o chiedere immotivate dimissioni al premier, come stanno facendo alcuni inattaccabili "moderati" particolarmente attivi negli ultimi giorni, è pura sovversione in assenza di prove certe che le giustifichino. Il principio di legalità democratica e di legittimità rappresentativa rischia di essere travolto da chi non ha armi parlamentari da utilizzare per come la Costituzione prevede, nè argomenti politici da opporre alla maggioranza liberamente formatasi nelle urne. Al contrario, già avremmo visto il Cavaliere prendere la via d’uscita da Palazzo Chigi.

Nell’impossibilità di procedere alla defenestrazione con gli strumenti ordinari, compresi quelli giudiziari, s’imbastisce una campagna moralistica fondata su intercettazioni telefoniche che non dovevano essere portati fuori in nessun modo e per nessuna ragione dagli uffici giudiziari. I moralizzatori a gettone dovrebbero chiederei che cosa c’è di democratico nell’infangare la reputazione di persone che non possono essere imputate di nulla dal momento che loro privatissime inclinazioni non attengono in alcun modo alla sfera pubblica, nè tantomeno a quella dello Stato.

Può non piacere lo stile di vita del Cavaliere, ma se non costituisce reato o non viene provato che la sua condotta è delittuosa, i nemici devono aspettare che il popolo con il voto ne decreti la sorte politica che, per nostra fortuna, non è nella mani di Bersani, di Flores d’Arcais, del popolo viola o di quello dei gazebo. E neppure in quelle del presidente della Camera dei deputati.