“Per far ripartire l’Italia, riforma delle pensioni e del mercato del lavoro”

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“Per far ripartire l’Italia, riforma delle pensioni e del mercato del lavoro”

29 Settembre 2011

La lettera a firma Jean – Claude Trichet e Mario Draghi inviata dai due governatori Bce, l’uno in uscita l’altro in pectore, al presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e ‘avuta’ chissà come dal Corriere della Sera merita di essere commentata. Nella lettera in questione si promuovono delle riforme di cui in Italia si sente parlare da decenni e che sono state (il passato prossimo è d’obbligo) il cuore della speranza berlusconiana. Nell’epistola istituzionale al premier italiano – che sembra più che altro il programma di governo di un ‘futuro’ governo Draghi –  c’è veramente di tutto: dal consiglio per l’introduzione di maggiore concorrenza nel settore dei servizi, passando per la riforma fiscale fino alla richiesta di liberalizzazioni dei settori monopolistici e di riforma delle amministrazioni pubbliche che aumentino la produttività. Di quel che di buono c’è in quella lettera, l’Occidentale ne ha discusso brevemente con l’ex-ministro delle Finanze, il prof. Francesco Forte.

C’è qualcosa di interessante – e di nuovo – nella lettera che il Corriere ha pubblicato questa mattina a firma Trichet – Draghi indirizzata al Presidente Berlusconi oppure si tratta solamente di un mucchio di ovvie verità?

Sono le misure che da molto tempo vado dicendo essere prioritarie per rilanciare la crescita in questo paese. Due essenzialmente: innalzamento dell’età pensionabile e la liberalizzazione del mercato del lavoro. Due misure che Tremonti non è stato in grado di portare avanti. Sul lato delle pensioni, consideri che il debito pensionistico annuo dell’Italia – ovvero la differenza tra il flusso contributivo in entrata e le erogazioni pensionistiche in uscita – ammontano all’incirca al 4,5% del Pil italiano, ovvero quanto paghiamo ogni anno in interessi sul debito pubblico italiano. Sul fronte delle liberalizzazione del mercato del lavoro, è vergognoso l’atteggiamento della Confindustria che tenta di affossare l’art.8 del decreto del governo che attua finalmente una decentrazione degli accordi aziendali. Come fanno appunto in Germania.

Oggi al Bundestag il governo di Angela Merkel ha accettato di mettere tanti altri soldi tedeschi nello Efsf, il fondo salva-Stati europeo. Non è da escludere che la Germania presenti il conto anche a noi italiani?

La Germania in fin dei conti ci chiede solamente di fare quello che ha fatto per sé: riformare le pensioni e decentralizzare il mercato del lavoro. Su quest’ultimo punto in particolare, il governo tedesco ha a suo tempo guardato in faccia la realtà, accettando che un pezzo del paese, l’ex-Germania dell’Est, avesse bisogno di trovare delle soluzioni ad hoc, caso per caso, nelle sue relazioni industriali. Intrenseca a queste politiche è stata l’accettazione che Germania dell’Est e Germania dell’Ovest vivessero in fasi economiche differenti. Una situazione non molto diversa dalla condizione di Nord e Sud Italia.

Di questi provvedimenti si parla da anni nel dibattito pubblico del paese, eppure sembra che non si riesca a venirne a capo…

Fintantoché avremo un ministro del Tesoro che si occupa solo di sponsorizzare la candidatura di Vittorio Grilli a Bankitalia, le cose andranno così. D’altronde Tremonti ha dimostrato di non saper misurare l’impatto che tali riforme avrebbero sull’Italia, sennò queste riforme le avrebbe già fatte . Guardi che cos’ha fatto il ministro dell’Economia con le manovre: ha stretto il paese nel rigorismo (talvolta anche eccessivo) ma non ha saputo o voluto fare le riforme necessarie per rilanciare la crescita.  

Non gettiamo tutte le responsabilità su Tremonti. Anche le corporazioni hanno le proprie responsabilità, non le pare?

Certo. Questo è il paese dove la Confindustria e la Cgil sono d’accordo su quasi tutto. D’altronde a viale dell’Astronomia, di questi tempi, sono molto impegnati a far cadere questo governo. L’associazione degli imprenditori chiede l’abolizione delle categorie, e quando gli viene offerta la contrattazione aziendale decentrata, entra in disaccordo con il governo e stranamente si trova d’accordo con la Camusso. E’ grottesco.

Torniamo per un attimo alla lettera Trichet- Draghi. In un passaggio della lettera si parla di potenziale di crescita. A cosa si riferivano i due governatori?

Ovviamente i due banchieri si riferivano al meridione italiano, il vero serbatoio inespresso del potenziale economico italiano. Insomma l’Italia non cresce perché il meridione d’Italia non cresce. Chi non vuole la contrattazione salariale decentrata non vuole lo sviluppo del sud del paese. D’altronde tutti coloro che sono contrari a questa forma di decentramento sono espressione dei poteri del nord Italia – Corriere, il Sole24Ore, finanche la Lega – e certo non sosterranno con forza un cambiamento del genere. Di fatto quando si nega alle aziende del meridione di contrattare al proprio interno le questioni salariali, siamo in presenza di una forma di mancanza di libertà. Queste sono pure battaglie di libertà. E coloro che le oppongono sono i soliti gruppi di poteri consociativi, monopolistici, che promuovono un’idea di economia di mercato ingessata. Sono la disgrazia di questo paese.