Per fare dei nuovi cittadini non basta una vecchia Costituzione
17 Giugno 2009
Nicolò Zanon ha perfettamente ragione: l’idea di rilanciare in Italia un vecchio arnese del tedesco mercato delle idee come appunto il “patriottismo costituzionale” fa acqua da tutte le parti. E mentre agli studiosi è sufficientemente chiaro che con quella espressione l’ex sociologo critico, ed ora acclamato filosofo politico e costituzionalista, Habermas si riferiva ad un modello costituzionalistico di stampo tedesco (diverso quindi da quello della tradizione del costituzionalismo cosiddetto “anglosassone”), e pensava di spacciarlo come “modello europeo”, per fortuna, o “carità di patria”, noi non sappiamo a chi sia venuta in mente l’idea di resuscitare l’espressione e di collegarla, nello stile della più piatta e scontata “correttezza politica”, a quella di integrazione. Non si sa, quindi, e non si ha neanche interesse di saperlo, sia perché le idee devono essere discusse per quel che sono, sia perché, quando si viene a sapere chi le ha avute o diffuse, sovente non ci si guadagna.
Sotto la cappa, ugualmente (politicamente) corretta, del “velo di ignoranza”, limitiamoci dunque ad osservare che chi non nutre i timori reverenziali nei confronti di quel che viene dalla Germania in generale (anche perché preferisce ciò che è venuto dall’Austria), sa benissimo che chi cerca di instaurare o di promuovere dei “vincoli informali” (in linguaggio comune valori e identità) tramite “vincoli formali” si accinge a compiere un’operazione di marketing tanto dispendiosa di energie intellettuali e materiali, quanto inutile.
Promuovere un’idea di costituzione esistente col relativo corredo di valori e di comportamenti quando in realtà quella costituzione non funziona, funziona male o non si capisce a cosa serva, è infatti un’operazione cultural-politica di breve respiro. Risponde più a delle pur comprensibili esigenze di “indottrinamento costituzionale” e di creazione artificiale di valori comuni, che all’esigenza di creare un tessuto comune fatto di condivisione di regole e di pratiche di comportamento alla Oakeshott.
Nello spirito di quel “comunitarismo” che piace sempre di più agli orfani senza eredità della destra, si può capire che il discorso cada su ‘valori comuni’ sublimati in una costituzione trasformata in mito dal suo “patriottismo”. E seguendo queste idee acriticamente si può anche bere la favola che la costituzione sia la realizzazione giuridica, fatta dai politici ed interpretata e aggiornata dalla magistratura e dai giuristi costituzionalisti, dei diritti umani o fondamentali. In realtà le cose stanno in maniera diversa. E il fatto che chi propina questa favola non ha la spudoratezza di dire che quei diritti non sono esattamente quelli che i liberali chiamano Natural Rights, la dice lunga sugli equivoci in cui si può cadere lo sprovveduto intellettualmente votandosi al “patriottismo costituzionale”.
Facciamo un esempio. Immaginiamo che un fervido patriota vada nelle italiche classi dell’era Gelmini a spiegare la nostra Costituzione. Dopo aver immaginato tutto il meglio possibile della sua lezione quelli che sono padri e docenti sanno che una buona parte l’accoglierà come si accoglie lo psicologo o l’insegnante di educazione sessuale. Ma trascuriamo questa componente di debosciati e di qualunquisti e spostiamo l’attenzione su quella minoranza nella quale l’attento ascolto porta a chiedersi cosa vogliano dire certe espressioni che figurano negli articoli della nostra costituzione e come mai alcuni articoli non abbiano trovato applicazione. Ovviamente non è possibile prevedere quali attireranno maggiormente l’attenzione e non vorremmo spacciare i nostri “pregiudizi” da anziani ma arzilli ed incalliti liberali con le cose che possono interessare i giovani svegli. Per farla breve, la mia impressione è che se si vuole promuovere un “patriottismo costituzionale” partendo dalla nostra costituzione si rischia di fare un costoso buco nell’acqua. Una buona parte dei destinatari del messaggio, e potenziali futuri patrioti, non verrà scossa dalla rivelazione dei vantaggi del patriottismo, il resto sarà stimolato a vederla criticamente e non è difficile prevedere cosa un adolescente sveglio potrà trarne. Il rischio del rifiuto potrebbe essere assai elevato.
Ma, detto in maniera semiseria delle disavventure che possono occorrere a quanti immaginano di poter suscitare un “patriottismo costituzionale e democratico” a partire dalla nostra decrepita e contraddittoria Carta Costituzionale, non resta che porsi alcune questioni più serie.
La prima è che anche nel ‘mercato delle idee’, forse, prima di cercare di piazzare un prodotto è opportuno chiedersi quale potrebbe essere l’accoglienza qualora l’utente dovesse accorgersi che qualcuno ha tentato di rifilargli una fregatura. In questo caso, prima di far partire un’operazione promozionale sarebbe saggio chiedersi se il prodotto è adeguato ai tempi e alle esigenze o aspettative dei cittadini a cui si rivolge. In altre parole, cambiare e aggiornare la Costituzione. Se dovesse corrispondere agli ideali, alle esigenze e alle aspettative dei cittadini il consenso verrà da sé e con esso, forse, anche il “patriottismo”.
La seconda è che chi ha pensato a simili operazioni cultural-patriottiche, qualora non abbia in mente di creare una nuova figura professionale, come quella del “professor patriota”, farebbe meglio a cambiar letture. E in questo caso un consiglio serio: lasci perdere Habermas, e si compri il libro di D.C. North, Capire il processo di cambiamento economico, Il Mulino, 2007. Ma non si preoccupi per il titolo; in realtà parla di come si formano e trasformano le credenze e di come le istituzioni rispondono a tale processo.
Si accorgerà, sostanzialmente, di quanto sia vano il tentativo di promuovere valori tramite leggi o pensare che possano essere il frutto di un’educazione democratica insegnata da professori-patrioti costituzional-democratici in una scuola democratica. E si convincerà che è più onesto ed anche facile adeguare una costituzione piuttosto che spendere per diffondere bufale su di essa. Il rischio, in questo caso, è quello esposto da A.V. Dicey in Legge e opinione pubblica nell’Inghilterra dell’Ottocento, Il Mulino, 2004. Anche in questo caso, se già non lo si conosce, non ci si spaventi: si dice che le grandi trasformazioni poggiano su grandi ed innovative idee. E insegna a riconoscerle.