Per fare politica la Del Ponte sacrifica il Kosovo

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Per fare politica la Del Ponte sacrifica il Kosovo

27 Giugno 2007

L’impegno di Carla Del Ponte in politica non è una novità, e quindi non sorprende. Nasce dalla necessità. Quando il Procuratore capo all’Aja ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di sospendere la decisione sullo status del Kosovo ha probabilmente calcolato che accontentare il governo serbo, che è recalcitrante sul Kosovo, l’avrebbe aiutata ad arrestare il generale Ratko Mladic, con Radovan Karadzic uno dei due criminali di guerra ancora in libertà in Serbia. Forse la Del Ponte riuscirà a portare di fronte ai giudici il suo accusato più famoso prima della fine del suo mandato, alla metà di settembre, ma rimane la domanda: questa sarà giustizia?

La Gran Bretagna e la Francia hanno risposto alla richiesta della Del Ponte con una nuova risoluzione sul Kosovo, proponendo un periodo di “congelamento” della discussione di 120 giorni. Questa concessione non è abbastanza per la Serbia e la Russia, ora nella posizione di alzare il prezzo. Prima che arrivi il mese di settembre, la Serbia ha ancora il tempo per ottenere qualcosa in più, e cioè Mladic in cambio di un rinvio indefinito della decisione sul Kosovo. Belgrado è incapace di riconquistare la sovranità su una maggioranza albanese che dieci anni fa ha cercato di far passare alla storia con massacri, stupri ed espulsioni, ma sarà contenta di “strangolare” il Kosovo, impedendogli di funzionare come stato.

Esiste la volontà politica per sostenere un patto simile? Dovremmo sperare di no. Fare grandi sforzi per arrestare il generale che ordinò il massacro di migliaia di musulmani a Srebrenica è lodevole. Scambiare il Kosovo per lui, invece, è un tradimento della missione del tribunale internazionale.

L’Aja non è un tribunale come gli altri. Processa individui, non nazioni o stati, accusati di orribili crimini contro gruppi religiosi o etnici. I rinvii a giudizio e le sentenze costituiscono dei precedenti che possono servire come esempio su scala mondiale. Per dare veramente giustizia alle vittime, i colpevoli devono essere messi sotto chiave con i loro piani di repressione e sterminio.

Sfortunatamente, negare al Kosovo l’indipendenza richiesta va contro questo principio. Mladic magari finirà in prigione, ma il suo sogno di una Serbia territorialmente più grande rimarrà vivo. Una vittoria sul Kosovo rafforzerà infatti la stessa coalizione che lo usò come soldato in Bosnia: la élite intellettuale, la chiesa Ortodossa, i politici nazionalisti e l’apparato statale della sicurezza. Questa coalizione, ora al potere a Belgrado, conta su un forte favore popolare. Merita la condanna internazionale, non nuovi sostegni.

L’Aja non può contare su una forza dell’ordine propria per eseguire il suo mandato e meno che mai può contare sulle forze di pace della Nato e sulla polizia europea, che sebbene sia presente nella regione con migliaia di uomini è incapace di far rispettare la legge. L’Aja deve usare la politica e lo ha fatto, ad esempio quando ha offerto l’incentivo dell’integrazione europea alla Serbia allo scopo di ottenerne la cooperazione per arrestare i suoi criminali di guerra. Ma questa tattica, che ha ben funzionato con la Croazia nel caso di Ante Gotovina, è invece totalmente fallita con la Serbia. C’è un motivo per questo. Il governo croato ha rotto con l’eredità della guerra, il governo serbo no. L’appeasament verso Belgrado è perciò sbagliato e pericoloso.

Carla Del Ponte ha messo le vittime al centro della sua missione di procuratore, ma è difficile vedere che tipo di giustizia queste riceveranno se l’indipendenza del Kosovo verrà negata a favore della Serbia. Sarebbe certamente un colpo tremendo per le vittime del Kosovo, che la Serbia prese come bersaglio sia perché albanesi sia perché chiedevano l’autodeterminazione: alle migliaia di morti verrà negata la dignità, ai due milioni di sopravvissuti la libertà.

E se al Kosovo verrà negata l’indipendenza a favore della Serbia, giustizia verrebbe negata anche alle vittime di Srebrenica, alle quali certamente non piacerebbe il sostegno offerto dalla comunità internazionale allo stesso governo che ha distrutto le loro vite. Nel documentario “La lista di Carla”, presentato di recente a New York al film festival dello Human Rights Watch, le donne di Srebrenica mostrano di aver capito perfettamente la situazione. Sanno che Mladic sarà arrestato solo quando converrà al governo serbo. ”Come fa (Carla del Ponte) a fidarsi di Kostunica?” chiede Munira Subasic, la presidentessa delle Madri di Srebrenica, “ha mentito una, due , tre volte…”. Subasic, che ha perso il marito e 22 membri della sua famiglia, cerca ancora suo figlio, che è disperso. Vuole sia giustizia che verità.

La verità è che per gli ultimi dodici anni la polizia, l’esercito e i servizi segreti – l’intero apparato di sicurezza serbo – hanno protetto Mladic e Karadzic. La verità, rivela nel documentario Jean-Daniel Ruch, consigliere politico di Carla Del Ponte, è che Mladic e Karadzic non saranno mai consegnati all’Aja. Ruch dice che Karadzic in particolare è “uno di loro, appartiene allo stesso club del primo ministro Kostunica”.

Può darsi che adesso toccherà a Mladic, il soldato leale, essere sacrificato per bloccare l’indipendenza del Kosovo. In una recente intervista alla televisione pubblica con Charlie Rose, la Del Ponte ha negato di aver fatto accordi politici con Belgrado, ma non è riuscita a nascondere la sua soddisfazione “sarò un procuratore felice quando andrò a casa” ha detto. Che sappia più di quanto dà ad intendere? In questo caso, il successo del tribunale non sarà il trionfo della giustizia. Non porterà certamente alcuna giustizia alle vittime.