Per gli scrittori italiani la Primavera di Praga deve ancora arrivare

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Per gli scrittori italiani la Primavera di Praga deve ancora arrivare

03 Maggio 2009

(Praga). Nelle vetrine del Kanzelsberger (la maggiore catena di librerie nazionali), accanto alle memorie di Obama e all’ultimo libro di Wilbur Smith, campeggia, nerissima, la copertina ceca di “Gomorra”. Siamo a Vàclvskè nàmÄ›stì, una delle vie più eleganti dello shopping praghese, a pochi passi dalla città vecchia. Ci aggiriamo tra gli scaffali in cerca di qualche nome nostrano, ma ci perdiamo in una selva di bestseller cechi e americani a tinte forti che qui pare vadano per la maggiore. Qualche amenità ci viene dall’ampia scelta di letteratura per ragazzi (7 per cento del mercato) dove pure dominano i vampiri di Stephenie Meyer. Ma dove sono gli italiani? Ci viene risposto che oltre a Saviano, già bestseller, gli scrittori italiani più venduti sono Andrea Camilleri (apprezzato soprattutto per la sua “sicilitudine” che facciamo molta fatica a immaginare tradotta in ceco) e Federico Moccia, i cui film hanno fatto da formidabile trampolino di lancio per i suoi romanzi.

Per sondare un pubblico diverso, ci spostiamo in via Celetnà nella libreria universitaria di fronte alla facoltà di psicologia. Qui, gli italiani più conosciuti sono Alberto Moravia (in testa con oltre 20 edizioni), Primo Levi (tradotto molto tardi), Italo Calvino (8 edizioni), il solito Umberto Eco, Oriana Fallaci e, a sorpresa, Edmondo De Amicis (12 edizioni di “Cuore”); a loro tempo ebbero una buona diffusione anche Cesare Pavese, Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ma ormai interessano soltanto una stretta cerchia di italianisti, mentre i primi sono entrati nel novero dei classici stranieri effettivamente letti. Ci viene raccontato che dopo il periodo del primo dopoguerra, che ha visto una buona fioritura di traduzioni dall’italiano sia di classici sia di contemporanei, l’interesse verso la nostra letteratura si è un po’ affievolito. Qualche rara eccezione c’è stata negli anni ’80 con i romanzi di Natalia Ginzburg, Elsa Morante, ed Eco mentre alcuni dei nostri maggiori prosatori (Calvino e Levi) si scontravano con la censura di regime.

L’ultima rotta è in via na PÅ™ìkopÄ›. Qui dicono che dopo la rivoluzione di velluto del ’93 e la caduta del regime, il mercato libero dalla censura è cresciuto esponenzialmente, specie nel campo delle traduzioni (oggi all’incirca un terzo del mercato complessivo). Nel 2002 ha toccato quota 14.000 titoli; nel 2006 17.000 (solo un quarto di ristampe); una cifra che colloca il paese nella top ten mondiale del rapporto offerta libraria/popolazione. Ma ciò non interessa la nostra letteratura, se non in minima parte: gli anni ’90 vedono infatti il flop della Tamaro (nonostante i quattro milioni di copie vendute in tutta Europa) e le modeste tirature di Alessandro Baricco (di cui circolano sei titoli), di Antonio Tabucchi (quattro titoli) e di Stefano Benni (tre titoli). La primavera di Praga, almeno per gli scrittori italiani, è ancora piuttosto lontana.