Per gli storici tedeschi quello degli esteri fu “Il ministero del Nazismo”
27 Febbraio 2011
di Vito Punzi
La commissione “indipendente” di storici istituita nel 2005 dal verde Joschka Fischer aveva il compito di indagare l’attività del ministero degli affari esteri tedesco durante il nazionalsocialismo e nei primi decenni della Repubblica Federale ed i risultati sono ora contenuti nel corposo volume Il Ministero e il passato (Verlag Blessing 2010), presentato nei giorni scorsi dall’attuale Ministro degli Esteri, Guido Westerwelle. In sintesi, quel Ministero risulta essere stato “attivo nella partecipazione all’Olocausto” e, secondo le stesse parole di un membro della commissione, lo storico Eckart Conze, esso aveva le caratteristiche di una vera “organizzazione criminale”. E a detta di un altro storico partecipe della ricerca, l’israeliano Moshe Zimmermann, non poteva che essere così, visto che a suo dire l’intera “società tedesca tra il 1933 e il 1942 era un’organizzazione o una società criminale”. Ancor più tranchant è poi l’affermazione di Conze, secondo la quale l’idea della “soluzione finale” sarebbe stata “riconoscibile molto presto”. Peccato che lo storico non possegga documenti per dimostrarla, tanto che altrove si contraddice, sostenendo che, per gli ebrei, “fino a 1940-41 si pensò all’espulsione nel Madagascar” (e in effetti il progetto di sterminio venne pianificato quando la guerra con la Polonia s’ampliò, fino a dar luogo ad un conflitto mondiale).
I temi affrontati dagli storici risultano essere più l’olocausto e il coinvolgimento in esso del Ministero degli Affari Esteri che non la politica estera tedesca e le relazioni internazionali. Va detto poi che quanto emerge dalla ricerca non risulta essere particolarmente nuovo, visto che era già noto ed è già stato dimostrato come nel “Dipartimento Germania”, creato dopo il 1933 e competente esclusivamente per gli affari ebraici, imperversassero dei criminali. Altrettanto noto era il fatto che anche altri ambiti del Ministero subirono gravi involuzioni in senso antisemita. Ciò che si presenta come qualità specifica di questa ricerca risulta essere così la convinzione che l’antisemitismo caratterizzasse l’intero Ministero. Peccato che i fatti riportati non aiutano in alcun modo la comprensione storica e sembrano piuttosto servire l’emissione di un verdetto di colpevolezza esteso a tutti coloro che lavorarono in quel Ministero (“Il lavoro degli storici ultima irrefutabile documentazione)”, si è subito azzardato a commentare Gian Enrico Rusconi su “La Stampa”, “fa definitivamente crollare il mito residuo che nello Stato hitleriano ci fossero settori relativamente integri, anche se ovviamente di sentimenti nazionalisti, l’esercito, l’alta diplomazia.” In realtà la ricerca sembra conseguire solo il fine per cui pare essere stata voluta: la criminalizzazione dell’intero popolo tedesco durante il Terzo Reich quale mito fondante e giustificazione dell’attuale Germania.
Nel mirino degli storici è stato posto anche Ernst von Weizsäcker, che fu diplomatico d’alto rango durante il Terzo Reich (anche ambasciatore in Italia e presso il Vaticano negli ultimi anni di guerra) e venne condannato nel 1949 a dieci anni di prigione, per essere poi liberato per amnistia. Con una sua lettera del maggio 1936, pubblicata ora dagli storici della commissione voluta da Fischer, von Weizsäcker non avrebbe sollevato obiezioni alla sottrazione della cittadinanza tedesca a Thomas Mann, chiesta in virtù della sua “propaganda all’estero ostile al Reich”. Lo scrittore viveva già in Svizzera quando all’inizio del 1936 pubblicò sulla “Neue Zürcher Zeitung” una lunga lettera con la quale attaccò lo Stato nazionalsocialista, definendolo come il luogo del “male” e del “cieco odio plebeo”. Che cosa avrebbe dovuto o potuto fare Ernst von Weizsäcker, in qualità di ambasciatore tedesco? Altri storici hanno già dimostrato come la sua azione mirasse a salvare la pace e per conseguire un simile obiettivo sapeva di dover fare il possibile per conservare una posizione influente all’interno del Reich: dunque, come si può interpretare quella lettera senza tener conto di questo contesto? Se si fosse espresso in difesa dello scrittore sarebbe stato immediatamente additato come aperto nemico del Reich e dunque si sarebbe precluso qualsiasi possibilità di operare per il mantenimento della pace. In fondo, quello tra Mann e von Weizsäcker non è stato che uno dei tanti conflitti, inevitabili durante epoche particolarmente travagliate, tra l’etica dell’opinione, propria dello scrittore, e l’etica della responsabilità, propria invece del politico.
“La storiografia professionale tedesca non si lascia più condizionare nel portare alla luce spietatamente la verità storica”, ha pontificato ancora, entusiasta, il solito Rusconi, che per queste sue uscite a servizio del mainstreaming gode in Germania di particolare reverenza (e di una cattedra da “professore ospite” alla Freie Universität di Berlino). Peccato che gli storici “professionali” cui si riferisce, più che di raccontare la “verità storica”, si dimostrino preoccupati di soddisfare i desideri del committente politico di turno.