Per i Fratelli Musulmani il “nuovo Egitto” è un vero sogno

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Per i Fratelli Musulmani il “nuovo Egitto” è un vero sogno

02 Maggio 2011

Dopo 31 anni al potere, Mubarak è stato cacciato, i Fratelli Musulmani hanno trionfato. Nel referendum del 19 marzo scorso per le modifiche costituzionali, infatti, la fratellanza ha messo il cappello sulla vittoria dei "sì", con il 77% dei voti. Al referendum, gli islamici si sono alleati con i rottami del Partito Nazionale Democratico (PND) dell’ex raìs, che a quanto pare conta ancora più di qualcosa. In precedenza la Fratellanza era ufficialmente avversaria del governo e per questo messa al bando da Mubarak, ma di fatto è stata sempre tollerata. In ogni caso, aveva un certo argine. Ora quell’argine non c’è più. La nuova Costituzione prevede minori poteri per il presidente e l’obbligo di nominare un vice. Tuttavia si tratta di un’apertura solo apparente alla democrazia, poichè nella carta rimane invariato l’articolo 2 , che rivendica il primato della shar’ia, la legge islamica, su ogni altra. Questo vogliono i Fratelli Musulmani, non la maggioranza in Parlamento. L’ha ammesso chiaramente la loro Guida Suprema, Mahmoud Ezzat, durante un simposio dal titolo “L’Egitto dopo la rivoluzione”, tenutosi venerdì scorso nella città di Qafr al-Dawar, nel governatorato di Beheira.

Non possono ambire alla carica presidenziale coloro che hanno doppia cittadinanza, come il presidente della Lega Araba Amr Moussa e Muhammad Al-Baradei, per altro riconosciuto dai Fratelli Musulmani, dirigente dell’AIEA e Premio Nobel per la Pace 2005, preso a sassate quand’è andato a votare al referendum. Non hanno possibilità di vittoria neppure le minoranze religiose, come quella più cospicua dei cristiani copti, come pure non ce l’hanno le donne. Tutti questi soggetti sono praticamente estromessi dalla vita politica del Paese. “La Fratellanza Musulmana punta ad applicare la legge islamica e noi non vediamo alternativa”,  spiega Sobhi Saleh, eminente membro dell’organizzazione integralista, intervenuto a sua volta nel simposio di Qafr al-Dawar.

“La Fratellanza Musulmana”, riporta il quotidiano egiziano Al Masry Al Youm, “non voterà per una donna o un copto nelle elezioni presidenziali. Lui o lei hanno il diritto di correre per la carica, e noi abbiamo il diritto di votare chiunque vogliamo”. L’antifona è chiara. Se i Fratelli Musulmani avessero potuto scegliere, non avrebbero dato alle donne e ai cristiani neppure la possibilità di votare (nonostante le parole apparentemente rassicuranti di Ali Fateh Al-Bab, ex membro in Parlamento dell’organizzazione, il quale dichiara: “Il Partito Libertà e Giustizia, che rappresenta il gruppo, non fa differenze tra musulmani e cristiani. Gli esseri umani hanno uguaglianza nell’islam. Per credenze e questioni personali, ciascuna confessione ha il suo proprio libro”).

Non preannuncia certo nulla di buono nell’ambito specifico dei diritti delle donne, il trattamento inflitto alle manifestanti dell’8-9 marzo da parte dell’esercito ora al potere. Erano 200 nella “piazza della liberà”, l’ormai celebre Piazza Tahrir, principale teatro delle dimostrazioni anti-regime, giunte a chiedere diritti nella Giornata Internazionale della Donna. Giornaliste, donne comuni e impegnate nella vita civile, si sono sentite gridare: “Tornatevene a casa”. Hanno subito aggressioni e palpeggiamenti. In seguito 18 di loro sono state arrestate ed hanno denunciato ad Amnesty International di essere state definite “prostitute”, picchiate con bastoni e tubi di gomma, torturate con scariche elettriche al petto e alle gambe, obbligate a denudarsi, mentre i soldati le fotografavano, nonché di essere state sottoposte ad un “test di verginità”. Quelle trovate non illibate, sono state incriminate per prostituzione e hanno subito violenza. Una donna, che aveva dichiarato di essere vergine, dato che il test avrebbe provato il contrario, ha è stata picchiata e sottoposta a scosse elettriche.

Il quotidiano “La Stampa” ha raccontato per esempio di Salwa Husseini, 20 anni, arrestata e portata al carcere militare di El Heikstep, a nord-est della capitale, costretta a togliersi tutti i vestiti e perquisita da una guardiana, in una stanza con porte e finestra aperte. Nel frattempo i soldati entravano per scattarle delle foto. Poi Salwa è stata giudicata colpevole di condotta disordinata, distruzione di proprietà pubblica e privata, ostacolo alla circolazione e possesso di armi. La giornalista Rasha Azeb, rilasciata con quattro colleghi, dopo essere stata ammanettata, picchiata ed insultata, ha raccontato di aver sentito le urla di altre manifestanti mentre venivano torturate. Nuovo regime, ma con lo stesso disprezzo per la donna, la medesima ossessione per la sua verginità, tipica degli estremisti islamici e delle società musulmane in generale, per cui la reputazione e l’onore dipendono dalla condotta, vera o solo presunta, di una donna. In Egitto è aumentata pure la violenza contro i cristiani. “Ogni giorno vengono per esempio rapite donne cristiane che spariscono nel nulla, ma per prudenza non se ne parla”, ha detto Malak Mankarious, docente di musica in Egitto e membro della comunità copta ortodossa milanese, recentemente intervistato dal giornale on-line “La Bussola Quotidiana”. Ancora una volta la situazione delle donne si rivela cartina tornasole della democrazia di un popolo e dell’influenza dell’estremismo islamico su di esso, sempre più drammaticamente determinante nella terra che fu dei Faraoni.