Per il Brasile l’Italia non ha mai chiuso col fascismo e non può processare Battisti
22 Novembre 2009
La decisione definitiva di Lula sul “caso Battisti” non sarà né facile né immediata. Nei giorni scorsi ci siamo chiesti se davvero il presidente brasiliano – dopo il voto del tribunale supremo che ha rimesso nelle sue mani il destino del terrorista italiano – rigetterà il pronunciamento del potere giudiziario (che ha chiesto l’estradizione), innescando una crisi interna e una micidiale crisi diplomatica con l’Italia.
Per adesso Lula prende tempo ed è probabile che il rientro di Battisti sia posticipata nel 2010, se mai avverrà. A complicare la posizione del presidente carioca c’è il ministro della giustizia Genro, che a proposito del nostro Paese ha detto: “L’Italia non è nazista o fascista, ma si constata un aumento preoccupante del fascismo in una parte della popolazione italiana, anche in settori del governo". Dichiarazione che non è andata giù a Lula, visto che ora sarebbe un vero schiaffo se il Brasile negasse l’estradizione.
Dobbiamo sforzarci, però, di interpretare in profondità il significato delle parole del ministro – lasciando stare, per un attimo, le vicende politiche interne al Brasile (Genro punta a smarcarsi politicamente da Lula per diventare governatore di uno degli stati del Paese) – e chiederci: perché il governo brasiliano ha concesso asilo a Battisti, e come mai da quelle parti, e altrove, credono che in Italia ci sia di nuovo il fascismo? In Brasile, come in Francia, dove Battisti ha trascorso lunga parte della sua latitanza, è diffusa l’idea che il nostro Paese non abbia mai fatto definitivamente i conti con gli anni di piombo. Una visione coltivata anche capziosamente da ambienti del mondo politico, intellettuale e della storiografia italiana.
Si tende a credere che personaggi come Battisti e il terrorismo comunista debbano essere inquadrati (e capiti?) solo e soltanto nel contesto delle “trame oscure” di quegli anni – fra stragismo nero, neofascismo e servizi segreti deviati, quando l’Italia era una “Democrazia bloccata” e i governi democristiani complici di questa "repressione anticomunista" (e il centrosinistra di Moro?!, e la Guerra Fredda?!). I processi, seguendo questa interpretazione, non avrebbero mai fatto luce su quel “periodo buio” in cui al PCI “fu impedito” di governare l’Italia, con la strategia della tensione. Se diamo credito a questo impianto ci spieghiamo anche perché Genro ritenga che Battisti non sarebbe al sicuro in Italia e che i nostri tribunali non saranno in grado di garantirgli un giusto processo.
All’epoca i socialisti al governo in Francia accoglievano fraternamente i terroristi rossi come rifugiati politici, come fanno oggi quelli brasiliani, mentre noi li combattevamo. Forse non sono bastate le leggi speciali e l’antiterrorismo per sradicarli, visto che le esecuzioni brigatiste, i processi alle sigle del terrorismo comunista, le condanne, sono continuate. Come pure potrebbe essere utile fare qualche altro sforzo per ricordare con più onestà cosa furono l’Italicus o la strage alla Stazione di Bologna, al di là della retorica degli anniversari e delle belle parole sui familiari delle vittime del terrorismo (nero). Ma se Gladio aveva un senso, e ce l’aveva eccome, qualcuno dovrebbe spiegare a Genro che l’Italia, anche nei periodi più controversi della sua storia recente, non è mai stata un regime dei Colonnelli o il Cile di Pinochet.