Per il New York Times è lecito ‘sparare’ sulla Chiesa ma non sull’islam
30 Marzo 2012
Il New York Times è un’istituzione giornalistica autorevole, forte, un bastione mica da ridere del progressismo anti-religioso statunitense. E’ un potere nei fatti: ascoltato, temuto, coccolato da un significativo segmento della politica Usa. Di tanto in tanto, però, scivola e cade. Viene in mente una riuscita battuta de "Il brutto”, in arte Eli Wallach, nel noto film di Sergio Leone quando si rivolge al suo aguzzino di turno, un giovane, guercio e grasso Mario Brega: “Lo sai perché mi piacciono i tipi come te? Perché quando cadono, fanno tanto rumore”. Appunto: quanto il New York Times scivola e cade, fa tanto rumore.
I fatti: lo scorso 9 Marzo ‘Freedom from Religion foundation’ (FFRF), un gruppo di pressione anti-religione (che il giornale conservatore Blaze.com definisce ‘often radical’, spesso radicale) acquista, previa autorizzazione della direzione comunicazione del Times, uno spazio pubblicitario a pagina 10, per la modica somma di 52.000 dollari Usa. Le immagini parlano da sole e il titolo ancor di più: “It’s time to quit the Catholic Church”, è tempo di lasciare la Chiesa Cattolica. L’invito viene fatto direttamente ai cattolici ‘liberal and nominal’, di sinistra e nominali.
Pamela Geller è una blogger (Atlas Shrugs), conservatrice, di religione ebraica. Ha cinquanta quattro anni. Ha fondato assieme a Robert Spencer, nota firma del settimanale conservatore “Human Events”, la "Stop islamization of Nations", la Sion, e "l’American Freedom Defense Initiative" (AFDI), un’associazione per la libertà d’espressione. Le viene segnalata l’inserzione anti-cattolica. Decide allora di proporne una, graficamente in tutto identica a quella della FFRF, ma sull’islam: "It’s Time to Quit Islam" e ne chiede pubblicazione, previo pagamento, allo stesso giornale.
Geller ha il fondato sospetto che il Times non darà spazio a un’inserzione anti-islamica, come invece aveva fatto per l’inserzione anti-cattolica. Per conto della Sion e della AFDI manda la proposta d’acquisto e attende la risposta. Se l’accettano, le due associazioni dovranno pagare. E infatti le risponde la direzione pubblicità del Times per conto di Bob Christie, niente meno che vice-presidente Corporate Communications del giornale. Il Times si rifiuta di pubblicare l’inserzione. Un ‘gran rifiuto’ che costa al giornale 39.000 dollari. “L’inserzione rischia di mettere a repentaglio la vita delle nostre truppe all’estero”, questa la (nobile) scusa accampata.
In verità, il New York Times è da anni impegnato in una campagna di legittimazione della comunità islamica Usa, tutta, senza distinzioni, che spesso finisce col fornire qualche forma di acquiescenza anche nei confronti degli elementi grigi della galassia associazionista politico-religiosa islamica negli Usa, come il Cair, il Council on American islamic relations, una specie di Ucoii statunitense.
Recentemente il Times ha fatto campagna sulla cronaca di New York, attaccando Ray Kelly, capo della polizia di New York per l’intervista rilasciata dal capo della polizia newyorkese ai produttori di ‘The Third Jihad’, un video di sensibilizzazione sull’agenda islamista negli USA, prodotto tra gli altri dall’American Islamic Forum on Democracy del dott. Zuhdi Jasser.
Nel video, nel quale trovano spazio intervistati del calibro di Rudy Giuliani, Ray Kelly dà conto degli insegnamenti che le forze investigative del NYPD ricevono nelle accademie quando si tratta di anti-terrorismo jihadista, che secondo il Cair ledono l’immagine dell’islam e dei musulmani statunitensi. Senza l’aiuto del Times, tutta questa storia “Ray Kelly – Third Jihad” non sarebbe mai venuta fuori.
Insomma quando si tratta di permettere a chicchessia di sparare a zero su Santa Romana Chiesa, preti pedofili, di dare spazio agli attacchi anti-cristiani, il New York Times non fa una piega, vale il pecunia non olet, e via con lo spazio pubblicitario. Quando si tratta di mettere in guardia i cittadini statunitensi sulle legittime problematiche che pone l’islam politico, sia esso sotto forma di messaggio pubblicitario anti-islam o con un video inchiesta come "The Third Jihad", il New York Times nicchia e si para dietro “il rischio l’incolumità dei soldati americani”.
Una piccola-grande vergogna che rimarrà – ecco il contrappasso – on the record. La verità è che ‘sparare’ sulla Chiesa cattolica è uno sport poco costoso. Bersagliare l’islam è un po’ più pericoloso e al Times il bavaglio se lo sono messi da soli.