Per il Papa la scuola deve educare non “addestrare”

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Per il Papa la scuola deve educare non “addestrare”

14 Giugno 2007

Mentre il ministro Fioroni vieta i telefonini, quegli stessi che documentano casi non isolati di malcostume educativo nella scuola italiana, e mentre il ministro Turco propone di mandare i Nas nelle scuole in cerca di droga, il papa Benedetto XVI va al cuore del problema: l’emergenza educativa in Italia è dovuta al fatto che non si sa a cosa educare e perché educare. E non lo si sa perché il relativismo ci immobilizza trasformando l’educazione in arroganza, intolleranza e persino violenza. Benedetto XVI ha parlato alla diocesi di Roma martedì scorso 12 giugno ma le sue osservazioni valgono per tutti proprio perché toccano i nervi scoperti del nostro sistema scolastico. Senza verità e valori considerati autenticamente tali – oggettivi? universali? propri della persona umana? diciamo come preferiamo – la scuola si trasforma in un grande talk-show, dell’alunno si valuta  solo il cosiddetto spirito critico, ma senza la criticità, ossia la disponibilità a  farsi criticare dalla verità. “Ognuno è un papa rispetto a se stesso” diceva Locke. La scuola abitua ad essere ortodossi verso se stessi, l’unica ortodossia compatibile con il relativismo. Accadde così che la scuola si riempia di mille interventi di istruzione: dal patentino per il motorino al pronto soccorso, ma sia sempre meno in grado di educare, ossia di far maturare la personalità di alunni e studenti nella disponibilità a delle verità e a dei valori intesi come vocazione per l’uomo.

Lo scivolamento nella tecnica, ossia la riduzione dell’educazione ad istruzione o, peggio, ad addestramento, non è tuttavia culturalmente neutrale, o laico, come si pretende. Quando tutti i problemi interiori dell’alunno sono considerati problemi psicologici, lo scivolamento nella scienza e nella tecnica ha già il sapore del materialismo. Ridurre i corsi di educazione sessuale nelle scuole ad istruzione non è una scelta di neutralità dalle ideologie, è propriamente l’espressione di una ideologia che intende la sessualità riduttivamente come tecnica. Benedetto XVI, quindi, pone il problema della educazione non solo come mancanza di educazione, ma come diseducazione. D’altronde è così: se non si educa, di fatto si diseduca, dato che non educare, quando si ha a che fare con la persona umana, è impossibile.

Bisognerebbe allora chiedersi quale sia il progetto educativo delle scuole italiane, se esse ne abbiano veramente uno. Notiamo che il progetto educativo è cosa diversa dal Piano dell’offerta formativa (Pof) ossia di quel lungo elenco di  attività che le scuole promettono di fare. Il progetto educativo sta a monte dello stesso Pof e non è possibile senza il coraggio di una antropologia: senza dichiarare cosa è per noi la persona umana come possiamo educare ad essere persone umane? La scuola di Stato prende sempre più le distanze da questo coraggio per l’insinuarsi dentro le sue maglie di una tolleranza intesa come indifferenza e di una laicità intesa come astratta neutralità. Mentre vale la pena ricordare anche alla scuola di Stato che non si muove in un nulla antropologico, ma dentro la visione occidentale-cristiana di persona umana, è tuttavia dalla società civile che potrà derivare, in futuro, una ripresa dell’impegno veramente educativo. Per questo il problema della effettiva parità scolastica e della libertà di educazione sono lo strumento principe per ricominciare ad educare le nuove generazioni.

La sussidiarietà educativa ridà alle famiglie e ai gruppi sociali quanto è stato loro tolto: la responsabilità non solo ad istruire ma anche ad educare perché il progetto educativo non nasce dalle circolari del ministro ma richiede – come ha detto Benedetto XVI nel discorso di martedì scorso – la libertà. Le finalità, e quindi anche le finalità educative, appartengono prima di tutto alle persone e poi alle istituzioni, alla società e poi allo Stato. I valori non sono un fatto burocratico ma vitale. Una società che non sa più educare è una società che ha perso vitalità; per rivitalizzare la società bisogna ridarle il gusto di educare.