Per il partito unico tutto è bloccato, in attesa di un segnale del Cav.
17 Novembre 2008
Il cartello “lavori in corso” è in bella evidenza. Le impalcature ci sono, ma danno l’idea di essere state montate da poco, scarsi gli operai avvistati. E’ passato l’architetto, il geometra ha i progetti sul tavolo, il capomastro ha preso visione dei lavori da fare. Se dovessimo cercare un’immagine, una fotografia, per far capire a che punto è la costruzione del Popolo della Libertà questa che abbiamo descritto sarebbe la più azzeccata. Da mesi i vertici del partito vanno dicendo, “abbiamo l’idea, abbiamo gli elettori, abbiamo il leader”, elementi che sommati insieme fanno il contenuto. Quello con la “C” maiuscola.
Con il passare del tempo il “Contenuto” è diventata l’unica certezza. Sono passate settimane intere ascoltando lo stesso ritornello: stiamo lavorando, stiamo organizzando, stiamo valutando. In realtà, oltre le linee ufficiali, e importanti, che sottolineano la portata storica del Pdl, oltre i ripetuti e forti convincimenti che il nucleo forte c’è, che in fondo le esperienze di Alleanza Nazionale e Forza Italia sono tramontate, ecco oltre a quello non c’è molto altro. Il Pdl per ora rimane un cartello elettorale. Bello ma senz’anima. Lo “stiamo lavorando” di Italo Bocchino, il percorso “serrato ed impegnativo per raggiungere il Pdl” di cui parla Denis Verdini per altri deputati più critici si trasforma in un “tutto è fermo”. Sempre Bocchino, entusiasta e convinto del progetto ritiene che “la costruzione del contenitore richieda il tempo necessario”. Tutti d’accordo. Deputati e senatori, dirigenti locali e nazionali si dividono in apocalittici e integrati. L’operazione non è facile, spiegano i secondi, costruire un partito che ha il 40% dei consensi richiede pazienza e una grandissimo impegno sotto tutti i punti di vista: concettuale, culturale, organizzativo. E poi c’è da considerare che nelle democrazie parlamentari il partito di maggioranza si schiaccia sempre sul Governo. Se poi questo partito non è ben definito ecco che qui, più che schiacciarsi, il partito di maggioranza scompaia all’ombra del Governo.
In realtà dopo la bella e galvanizzante esperienza della campagna elettorale tutto si è fermato, tanto gli elettori, o la stragrande maggioranza di essi, non è che sta tutti i giorni a chiedersi quando ci sarà il congresso costituente, spiegano gli apocalittici. Non c’è tutta questa fretta. E lo capisci quando cerchi sul calendario una data precisa, che confermi i lavori in corso. La cerchi, ma non c’è. Nessun evento ufficiale all’orizzonte. Niente di politicamente concreto al quale aggrapparsi. Quando ci sarà il congresso? Bella domanda. Prima doveva essere fissato in una data imprecisata tra gennaio e febbraio, poi verso la fine di febbraio. Ora, in un articolo apparso qualche giorno fa su La Stampa, si parla del 15 o del 22 marzo, a Roma o a Milano. Troppi rimandi. Se chiedi alle seconde file di Montecitorio qualche informazione al riguardo ti senti dire che “quando ci sarà il comitato costituente non lo sanno nemmeno La Russa e Verdini”. Sentite invece Paolo Guzzanti, “Il Pdl nascerà quando lo deciderà il capo, questo nuovo partito sarà molto autocratico e nessuno deciderà nulla se non Lui”. Intanto di una cosa si ha avuta certezza. Il comitato dei cento è servito a ben poco, a parte per riunirsi una solo volta. Non lo dicono apertamente , ma lo fanno capire. Emblematico fu lo sfogo del repubblicano Nucara, “ come faccio a confrontarmi con i cento se li ho visti sono una volta?”. Fino ad ora ci sono state solo generiche chiacchierate sul tema e nulla più, spiega di Silvano Moffa ex Presidente della Provincia di Roma ed ex sottosegretario alle infrastrutture nel Berlusconi II. Uno che la vita di Montecitorio la conosce bene e riassume i motivi dell’immobilismo. “Il Pdl fatica a darsi un volto perché si pensa che basti una semplice alchimia da ragioniere per farlo nascere, concentrandosi più sui numeri che sulle realtà territoriale. C’è poi una difficoltà culturale, l’anima del Pdl deve nascere dalla sintesi di An e Fi e non dalla sola somma”.
Ma il motivo fondamentale della stagnazione, è che tutti aspettano un segnale da Berlusconi, il problema insomma lo deve risolvere lui. “Cosa è questa se non un chiaro segno di immaturità della classe dirigente?” si domanda Moffa. E così mentre aspetti il Capo, ecco, lui arriva. Dopo l’attenzione alle operazioni di governo tornerà nelle prossime settimane a occuparsi della sua creatura. Il processo che dovrà dare l’anima al Pdl nascerà dal basso. A dicembre in migliaia di piazze italiane verranno allestiti i gazebo dove verranno scelti i delegati per il congresso costituente, attraverso delle primarie sui generis che eleggeranno circa 6000 delegati divisi tra An, Forza Italia e i partiti minori. Dopo i mesi di stallo il Pdl riparte, torna a muoversi, almeno a livello di marketing e comunicazione. Dietro l’idea di rilanciare una immagine andata sbiadita attraverso questa operazione c’è sempre e solo lui: il Capo. Quella con la S maiuscola.