Per il regime iraniano il 2010 finisce male e il 2011 inizia peggio
01 Gennaio 2011
E’ ripartito da Ginevra il tira-e-molla tra il gruppo dei 5+1 e l’Iran sulla questione del programma nucleare di Teheran, ma per il momento l’unico risultato dei colloqui tenutisi il 6 e 7 dicembre nella città svizzera sembra essere la disponibilità del governo iraniano a riprendere i negoziati. Il prossimo incontro è fissato per la fine di gennaio ad Istanbul, e la location non sembra casuale. L’Iran, infatti, vorrebbe che la Turchia giocasse il ruolo ufficiale del mediatore, ma per il momento gli Stati Uniti sembrano non avere alcuna intenzione di accettare tale condizione, come dimostra il recente rifiuto dell’Amministrazione Obama di firmare un accordo proposto proprio dalla Turchia circa il trasferimento di 1.200 kg di uranio a basso arricchimento dall’Iran ad Ankara. Ad ogni modo, se da un lato è ancora viva negli Stati Uniti la delusione per la decisione del governo turco di non appoggiare la risoluzione ONU di maggio che inaspriva le sanzioni contro l’Iran, dall’altro Washington è convinta di avere il coltello dalla parte del manico, grazie proprio a quelle sanzioni che oggi sembra stiano dando buoni risultati.
Anche le recenti dichiarazioni del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, al summit di Istanbul dell’Economic Cooperation Organisation (ECO) – "pensiamo che questo incontro (quello di gennaio con il gruppo dei 5+1, n.d.r.) sarà molto importante, perché il confronto lascerà il posto alla cooperazione, nell’interesse di entrambe le parti, determinando una situazione win-win nella quale nessuno uscirò sconfitto” – per qualcuno rivelerebbero la debolezza del regime khomeinista, ormai schiacciato dal peso delle sanzioni. La stessa rimozione dell’ex ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, rimpiazzato da un fedelissimo di Ahmadinejad, Ali Akbar Salehi, capo del programma nucleare iraniano, sarebbe una conseguenza delle sanzioni (l’ex ministro è accusato di non essere riuscito ad impedirne l’adozione da parte dell’ONU) e dimostrerebbe che il governo ha bisogno di tornare a negoziare e trovare un’intesa nel tentativo di allentare la pressione internazionale.
Teheran spera che l’Occidente allenti la sua presa contro il regime iraniano, che oggi si trova in grossa difficoltà come dimostrano gli importanti segnali che vengono dall’economia. Il governo è stato costretto a far fronte alla crisi tagliando tutti i sussidi sui prodotti sia per i consumatori che per le aziende, sostituendoli con aiuti economici diretti alle classi più povere. Ma il primo effetto del provvedimento sarà inevitabilmente un forte aumento dei prezzi, come sta avvenendo per quello del carburante, aumentato del 400% in pochi giorni (da 10 centesimi a 40 centesimi per litro fino addirittura a 70 centesimi per chi compra più di 50 litri). Come nota Meir Javedanfar sul Guardian “immaginate di essere titolari di un’azienda di trasporti, con un tale aumento del prezzo del carburante sarete sicuramente costretti ad aumentare il prezzo per chilometro percorso, e tale aumento si rifletterà inevitabilmente sul prezzo dei beni e prodotti al consumo. Il problema quindi scoppierà quando si scoprirà che il contributo del governo ai cittadini non si avvicina nemmeno lontanamente agli aumenti determinati dall’esplosione del costo del carburante”.
I primi effetti, in realtà, si cominciano già a vedere, come testimonia lo sciopero degli autotrasportatori che per giorni ha bloccato la distribuzione di beni e prodotti in tutto l’Iran, e come testimonia l’aumento del 40% dei prezzi di trasporto. L’inflazione dunque è destinata a salire ben oltre il livello odierno, che si attesterebbe intorno al 10,8% secondo le fonti ufficiali del regime (ma già vicino al 20% secondo stime ufficiose), un livello già molto alto e che rischia di esplodere come effetto del nuovo piano del governo. E non bisogna considerare soltanto l’effetto pratico che la riforma avrà sull’economia del paese, ma anche quello simbolico. Considerando che il sistema dei sussidi era stato voluto dal padre della Repubblica Islamica, l’Ayatollah Khomeini, la situazione determinatasi oggi dimostra quanto fallimentare fosse la sua visione politico-economica della società iraniana.