Per la bimba cresciuta come Mowgli deve esserci giustizia

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Per la bimba cresciuta come Mowgli deve esserci giustizia

11 Luglio 2011

La storia della bambina che abbaia anziché parlare, perché costretta a vivere per sette anni con un cane, sembra inventata e, invece, è drammaticamente vera. Oltretutto, è accaduta non in un paese del Terzo mondo bensì a Bari. L’hanno scoperta quasi per caso i carabinieri diciotto mesi fa, mentre la bambina in questione dormiva chiusa in un armadio con il cagnolino, circondata da rifiuti maleodoranti e con una ciotola in cui divideva il cibo con l’animale.  

Per ben sette anni la piccola ha avuto per unico interlocutore questo cane, tanto da assimilarne persino i comportamenti e il linguaggio. Non a caso si esprime a gesti e, invece di parlare, abbaia. Un’immagine agghiacciante, soprattutto perché stride con quella di un paese all’avanguardia e dove la tutela dei minori e delle loro condizioni di vita rappresenta un imperativo categorico. Per fortuna, già da un anno e mezzo quello stato di estremo degrado sociale è finito e la bambina è stata affidata a una casa famiglia, dove ha iniziato il difficile percorso di educazione e integrazione nel tessuto civile. Ma dal punto di vista dell’accertamento delle responsabilità per un fatto così grave, ancora la situazione è sospesa.

Il caso, ovviamente, è seguito dal Tribunale per i minori e dalla Procura barese. In un primo momento i genitori della piccola erano stati denunciati a piede libero, ma poi il pubblico ministero ne ha chiesto l’archiviazione, poiché all’epoca dei fatti entrambi erano disoccupati e in cura presso il Servizio d’igiene mentale. Mancherebbe, dunque, l’elemento psicologico per imputare ai due genitori il reato sotto il profilo penale. Come mancano, per il momento, le prove, visto che la bambina ancora non riesce ad esprimersi con il linguaggio. Adesso si attende la decisione del giudice delle indagini preliminari per vedere se, invece, non occorra investigare ulteriormente sull’ipotesi del reato di abbandono di minore.

Nel frattempo, non mancano le polemiche sul ruolo dell’autorità giudiziaria in questa vicenda. Il presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori, il sociologo Antonio Marziale, in relazione alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero Angela Morea, ha dichiarato senza mezzi termini che questa situazione denota “lo stato di profondo degrado in cui versa il sistema giudiziario”. Secondo Marziale, “davanti alle sofferenze patite dalla bambina non devono esistere limitazioni o prescrizioni di sorta, per cui il caso dovrebbe rimanere aperto in attesa che la vittima possa essere messa in condizioni di rendere intelligibile la propria esposizione”.   

L’attesa è che la bambina inizi a comunicare a parole e da quel momento gli psicologi che la seguono dovranno accertare se ha subito un trauma a causa del comportamento irresponsabile dei genitori. Se il trauma non sarà “elaborato” rimarranno sicuramente nel corpo e nella mente di lei i sintomi che intossicheranno le sue emozioni. 

La conseguenza più insidiosa degli abusi o degli abbandoni nell’età infantile o dell’adolescenza è proprio l’indebolimento dell’autostima di chi li subisce. Questo sentimento fondamentale, che è alla base dello slancio vitale, se colpito nell’età della crescita, fa sì che l’avversione verso l’autore dell’abuso o dell’abbandono si trasferisca sulla vittima stessa sotto forma d’insicurezza, di minor fiducia nelle proprie capacità di affermarsi, di minor interesse per la propria vita. Se si ha il coraggio di uscire da questo meccanismo mentale e di costruirsi la propria esistenza, si esce più forti da quella condizione di fragilità e si raggiunge una vera maturità psichica e intellettuale. E’ quello che ci si augura vivamente nel caso di questa bambina, a cui è stata strappata la propria infanzia e la propria crescita. Ma aspettiamo anche di saperne di più da un supplemento d’indagini, affinché la Procura di Bari sia pronta a individuare responsabilità oggettive e a fare giustizia.