Per la Corte dei Conti i conti non tornano
23 Marzo 2016
Ieri il commissario europeo Moscovici era a Roma per fare il punto con Renzi e Padoan sulla tenuta dei conti pubblici italiani. Sempre ieri è uscito il rapporto sul coordinamento della finanza pubblica presentato in Senato dalla Corte dei Conti. E per la Corte dei Conti, i conti non tornano.
La crescita resta incollata allo zero virgola, troppo modesta se paragonata ai principali partner europei e in un contesto macroeconomico ormai più sfavorevole (rialzo dei tassi Usa, turbolenze finanziarie, timori per il sistema bancario europeo…). La pressione fiscale continua ad essere alta rispetto alla media europea: l’Italia è al secondo posto nell’Unione per le tasse sui redditi da lavoro (42,8% otto punti in più della media) e al terzo posto per il prelievo sui redditi d’impresa (25%, il doppio della media). “La maggiore profondità della recessione” e “il basso tasso di inflazione insieme al maggior costo del debito” hanno provocato un aumento del nostro debito pubblico “tre volte superiore” alla media europea, prosegue implacabile la Corte.
Più tasse, debito che non scende come dovrebbe, crescita vicino allo zero. Moscovici se ne sarà tornato a Bruxelles trovando una conferma al quadro già negativo che il commissario aveva espresso parlando dei conti italiani. La strategia di Renzi invece non cambia, l’Italia continua a chiedere “flessibilità” alla Ue, margini più ampi per il 2016 ma anche per il 2017, come ha detto il responsabile alla spending review, Gutgeld, dicendo esattamente “proseguiremo su questa strada”. Ovvero su quella delle manovre in deficit fatte per ragioni di consenso elettorale e per arrivare più tranquillamente alla fine della legislatura.
Sul fisco la tecnica del fiorentino è nota, spostare il prelievo da una parte all’altra, senza abbassarlo davvero. Da questo punto di vista Renzi potrebbe seguire il suggerimento della Corte dei Conti di aumentare l’IVA, colpendo (duro) le aliquote agevolate invece delle ordinarie, un ennesimo giro al rialzo della pressione fiscale, che invece va abbassata,punto. Gutgeld ha detto che l’IVA non sarà toccata spiegando che si pensa di contrastare con più forza l’evasione ma in ogni caso è la strategia di fondo che non convince. Se le tasse non scendono, i consumi non ripartono. Se non ci sono nuovi investimenti, non c’è crescita. Se il debito non scende, chiedere più flessibilità alla Ue è una chimera.
La strada da seguire è l’esatto opposto della politica economica seguita da Renzi: la spesa pubblica va tagliata, di studi per farlo i commissari che si sono succeduti alla spending ne hanno prodotti a iosa. Che fine hanno fatto i progetti per dismettere pezzi del patrimonio pubblico? Come mai le partecipate sono ancora tutte al loro posto? Al di là della retorica sulla riduzione dei costi della politica (il Palazzo ha iniziato a farlo) o degli scandali sugli affitti d’oro capitolini che pure gridano vendetta (l’85% degli inquilini in immobili di pregio del Comune di Roma non pagava l’affitto), se in Italia non si capisce questo, che bisogna aggredire la spesa attraverso provvedimenti strutturali come il taglio delle municipalizzate, tutto il resto diventa relativo.
Gli ultimi dati dicono che le Regioni stanno provando a ridurre la spesa, dopo i capolavori fatti negli anni scorsi, ma devono essere anche i grandi comuni a fare la loro parte, riducendo i costi, il prelievo fiscale, e puntando sugli investimenti per incentivare la crescita. Ma in fondo la domanda che potrebbe farsi un qualsiasi primo cittadino di uno dei mille campanili italiani è questa: ma come, mi chiedono di tagliare i costi e poi il modello del “Sindaco d’Italia” è quello spendi e spandi? Io devo tagliare e la rivoluzione renziana passa dagli 80 euro e il bonus ai diciottenni?