Per la giustizia le riforme non bastano, ci vuole una rinascita

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Per la giustizia le riforme non bastano, ci vuole una rinascita

Per la giustizia le riforme non bastano, ci vuole una rinascita

30 Gennaio 2009

Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, considerava il potere giudiziario “il ramo meno pericoloso per i diritti politici sanciti dalla Costituzione”, poiché “non può influire né sulla spada né sulla borsa, non può dirigere né la forza né la ricchezza della Società e non può addivenire ad alcuna decisione veramente risolutiva. Si può, a ragione, dire – scriveva nel Federalist – che esso non ha forza né volontà, ma soltanto giudizio e dovrà ricorrere all’aiuto del governo perfino per dare esecuzione ai propri giudizi”.

Ci si potrebbe chiedere se Hamilton avrebbe formulato lo stesso giudizio se fosse vissuto in questi anni e se avesse conosciuto la giustizia nelle forme e nei modi in cui questa viene oggi percepita dai cittadini italiani.

Perché la giustizia conosciuta oggi dalla gran parte degli italiani non è quella, rassicurante, che riposa sull’argomentazione giuridica, sul confronto delle parti, sull’atteggiamento imparziale del magistrato e che soddisfa, con rapidità, le esigenze di sicurezza e di certezza della collettività.

E’ piuttosto quella dei ritardi e delle inefficienze, dei procedimenti che alimentano le pagine dei rotocalchi scandalistici e, soprattutto, quella del prolungato ed ossessivo scontro tra magistratura e mondo politico.

Se la magistratura italiana ha una colpa è, certamente, quella di aver frainteso in molti casi il proprio compito, ritenendosi investita di una funzione etica ulteriore e diversa dai doveri e dai limiti propri degli accertamenti penali. Una prospettiva questa che ha condotto a minimizzare e a non chiarire episodi gravissimi di diffusione di notizie relative a fatti non illeciti, spesso attinenti alla vita privata dei singoli, e, soprattutto, ad assecondare la rappresentazione semplificata della realtà giudiziaria fornita dai mass media, fidando che nell’immaginario collettivo il “cattivo” sarebbe rimasto sempre l’indagato.

In realtà le cose sono andate molto diversamente ed oggi la magistratura, dopo aver perso la sua identità culturale e gran parte del suo prestigio per avere assecondato o, comunque, non adeguatamente contrastato la rappresentazione qualunquista e spesso strumentale degli eventi giudiziari, rischia di fare la stessa fine di quelle piccole formazioni politiche che una semplice modifica normativa, una soglia di sbarramento, è in grado di spazzare via definitivamente. 

La riforma del sistema delle intercettazioni rappresenta un capitolo, l’ennesimo, di questa ingloriosa saga. E’, e vuole essere, una riforma che tende a contenere l’utilizzo di uno strumento di indagine sulla base della convinzione che alcuni o molti magistrati in passato ne hanno abusato e ne abuseranno di nuovo se la legge non verrà quanto prima modificata. In realtà in Italia, come è evidente a tutti, non è necessaria una riforma del regime delle intercettazioni e neppure, benché utilissima e reclamata dagli stessi magistrati, una riforma del Consiglio Superiore della Magistratura o una riforma costituzionale che introduca la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici.

E’ necessaria ed urgente, piuttosto, una modifica del costume giudiziario, un clima diverso, investire nei giovani che hanno scelto questa professione, nonostante le obiettive difficoltà ed i rischi, ed essere capaci di rilanciare “un patto” tra politica e magistratura funzionale alle reali esigenze del paese, fondandolo sul recupero e sul reciproco riconoscimento delle rispettive prerogative.

Alla base dei problemi e delle permanenti frizioni tra politica e magistratura non c’è più l’ideologia, tramontata ormai da molti anni: non è più tempo, nel terzo millennio, di toghe rosse e nere, di alta e di bassa magistratura.

Il problema è invece quello di rilanciare una cultura autenticamente giuridica, priva degli equivoci e delle ambiguità connessi al preteso ruolo politico del magistrato, e di riconoscere il ruolo non antagonista, ma complementare, nel comune segno delle istituzioni, della politica e della magistratura. 

* Stefano Amore è Vice Segretario di Magistratura