Per l’Abruzzo non tasse ma solidarietà

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Per l’Abruzzo non tasse ma solidarietà

16 Aprile 2009

Sulla questione dei contributi e delle risorse da mettere in campo per la ricostruzione dell’Abruzzo comincia ad esserci un po’ troppa confusione. Sarebbe bene invece che il governo dicesse una parola chiara e stroncasse sul nascere polemiche sia da parte dell’opposizione che della maggioranza.

Il panorama è già molto caotico: Maroni parla di 12 miliardi necessari alla ricostruzione e crea fastidio in Berlusconi e Tremonti; Tremonti parla del 5 per mille e fa arrabbiare l’opposizione, a cui la finiana FareFuturo subito s’accoda; si sparge la voce, speriamo smentita, di una tassa sui "ricchi", un sorta di una tantum pro terremoto; Berlusconi vuole più risorse ma senza tasse. Insomma sarebbe ora di chiarire.

Tremonti dovrebbe essere più chiaro sulla questione del 5 per mille e spazzare via le polemiche annunciando subito di quanto il governo intende alzare il tetto delle possibili donazioni, ora fissato a 400 milioni. Se questa cifra verrà innalzata in modo adeguato, il terzo settore, il volontariato, l’Arci, Emergency e FareFuturo non avranno motivo di preoccuparsi.

Veniamo alla questione della tassa. Ieri Adriano Sofri segnalava su Repubblica lo scalpore suscitato da un articolo apparso su Facebook , dal titolo provocatorio: "Io non darò neanche un centesimo di euro per le popolazioni terremotate". Lo ha scritto un giornalista, Giacomo Di Girolamo il quale sostiene con veemenza che i soldi per l’Abruzzo già ci sono e sono i soldi di chi paga le tasse. In anni di catastrofi e solidarietà , dice l’autore, nulla è cambiato: a morire e a pagare sono sempre i poveracci.

Sembra che il governo abbia dato ascolto a questo sfogo e a questa rabbia se davvero sta prendendo in considerazione l’idea di tassare i super ricchi per aiutare i terremotati. Sia la posizione di Di Girolamo, sia quella di Tremonti – se confermata – sono errori profondi. E un po’ di chiarezza servirebbe per dissiparli.

Il gesto di dare un euro o qualsiasi altra somma alle vittime del terremoto, ha in questi giorni accomunato milioni di italiani, ricchi e poveri, e poi associazioni, sindacati, partiti, fondazioni, giornali, il negozio all’angolo, il supermercato, la grande azienda e l’artigiano. Tutti hanno sentito il bisogno umano, insopprimibile di essere parte della tragedia e insieme della riscossa. La rabbia per le passate catastrofi, per le cattive ricostruzioni, per le truffe e le ruberie pubbliche e private è passata in secondo piano. Quasi non si pensava a dove sarebbero finiti i soldi, ma era un modo per essere lì e stringere una mano, dare un abbraccio.

Invece di mettere l’ennesima tassa sullo 0,5 per cento degli italiani che già le pagano salate (si tratta di 4-5oo.000 contribuenti, poca cosa), che vengono definiti "super ricchi" solo per motivi statistici perchè magari hanno un buono stipendio, mentre chi ha ville, barche e due Ferrari,  risulta nulla-tenente, lo Stato dovrebbe incoraggiare questo fenomeno, facilitarlo, rafforzarlo e farsene forte.

Per uno che strilla "non do un un euro", ce ne sono milioni pronti a darne molti di più.  Lo Stato aiuti a incanalare questi aiuti, a mettere in contatto chi da e chi riceve a selezionare chi ha più bisogno. E magari usi la leva fiscale per consentire di scaricare dalle tasse quello che si intende donare. E’ un modo semplice per incoraggiare la solidaretà invece di imporla con un nuovo balzello anche un po’ populista.

E infine che ministri ed esperti si mettano d’accordo su quanti soldi servono: un balletto di cifre non è dignitoso. Su l’Occidentale, Alessandro Carpinella, con un bell’articolo (lo trovi qui)  ha dimostrato che i soldi si possono trovare anche senza mettere tasse, basta mettersi d’accordo.