Per l’Africa le star tornano con Bush
05 Marzo 2008
Sarà che Barack Obama e Hillary Clinton stanno
monopolizzando il variegato mondo dei media statunitensi. Sarà che la politica
internazionale ha avuto il suo daffare, tra conflitto israelo-palestinese,
indipendenza del Kosovo e ritiro di Castro. Fatto sta che in pochi si sono
accorti del successo di immagine che ha investito George W. Bush, fresco di un
trionfale viaggio di sei giorni in Africa e di un doppio
“endorsement” a suo favore da parte della rockstar Bob Geldolf e
dell’attrice Angelina Jolie. Due personaggi lontanissimi dalla politica dei
repubblicani, capaci però di sostenere il presidente in merito alla sua
politica a favore dell’Africa (è il caso di Geldolf) o alla scelta di mantenere
le truppe americane in Iraq (quello che ha fatto Angelina, di ritorno da un
viaggio a Bagdad).
Bob Geldolf lo conosciamo tutti. Rockstar di scarso successo, negli anni
Ottanta ha deciso di votarsi alla causa africana organizzando (siamo nel 1985)
il celeberrimo “Live Aid”, il più grande concerto di beneficenza
della storia. Col passare degli anni, Geldolf ha trovato un compagno di strada
nel cantante degli U2 Bono Vox, a capo dell’organizzazione umanitaria
“One”. Nel 2005, Geldolf ha voluto replicare il successo del
“Live Aid” lanciando il “Live 8”: altro megaconcerto,
spalmato sulle maggiori capitali europee. Un ulteriore successo, una nuova
valanga di dollari per combattere la povertà .
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È stato proprio Geldolf, pacifista e lontano dalle posizioni repubblicane, ha
lanciare una pesante accusa contro la stampa statunitense: “Questo è un
vero trionfo per la politica estera americana, e voi non vi avete prestato
neanche un po’ di attenzione”. Di quale trionfo parla Geldolf? Parla del
viaggio di sei giorni compiuto in febbraio dal presidente George W. Bush, una
visita ufficiale passata in secondo piano. Perché? Semplice, perché Bush è
andato in Africa: e l’Africa, Geldolf insegna, continua a non fare notizia.
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Nella settimana del viaggio presidenziale, Bush ha visitato Benin, Tanzania, Ruanda,
Ghana e Liberia. In ognuno di questi paesi è stato accolto entusiasticamente,
tanto dai governi quanto dalla popolazione: nessuna traccia delle
manifestazioni di protesta che accompagnano puntualmente le trasferte del
presidente degli Stati Uniti. E la ragione è semplice: come sottolinea
ampiamente Geldolf, George W. Bush è l’uomo che si è maggiormente speso per la
lotta alle malattie e alla povertà dell’Africa. Dove gli altri leader mondiali
hanno promesso a vanvera (e l’Italia, stando a quanto denunciò Bono Vox tempo
fa, è tra le prime della lista), gli Stati Uniti sono intervenuti con
decisione.
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La politica africana dell’amministrazione Bush, che solo la storia potrÃ
rivalutare appieno, è vincente nella sua
commistione di dollari e piani strategici per farli rendere al meglio. Qualche
esempio? 15 miliardi di dollari per combattere l’Hiv in tredici paesi africani,
il tutto coordinato dall’efficiente President’s Emergency Plan for Aids Relief.
Un progetto economico volto a far incrementare le esportazioni africane verso
gli Stati Uniti (si tratta dell’African Growth and Opportunities Act). E
ancora: l’Africa Education Initiative, che ha diffuso libri di testo, insegnanti
e borse di studio, e il Millennium Challenge Account, un piano di assistenza
per i paesi più meritevoli sul piano delle politiche sociali. Iniziative
concrete, tali da colpire lo stesso Bob Geldolf che da anni si scontra con
promesse al vento e beneficenza da fame.
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Geldolf non si è limitato a un semplice elogio, ma ha seguito Bush e ha reso
conto del viaggio africano per la prestigiosa rivista “Time”. Un
articolo lungo e articolato, che ha molto da dire sulla situazione africana e
sui progetti americani per combattere la povertà . Dentro si legge che nel 2003
solo 50.000 africani avevano accesso al vaccino per l’Hiv, mentre oggi sono 1,3
milioni. Si scopre che gli Stati Uniti hanno versato da soli un terzo dei
dollari presenti nel Global Fund per combattere Aids, tubercolosi e malaria.
Che nel corso della trasferta africana, Bush ha rilanciato queste lotte
indicando puntualmente quanti dollari verranno destinati alle diverse
problematiche sul tappeto.
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Perché, chiede Geldolf, gli americani non sono stati messi a conoscenza di
tutto questo? “Ho provato a dirglielo” risponde il presidente
“ma la stampa non sembrava molto interessata”. Sul suo interessamento
nei confronti dell’Africa, cresciuto ininterrottamente col passare degli anni
alla Casa Bianca, Bush afferma che “la sofferenza umana deve venire prima
degli interessi commerciali”. Una bellissima affermazione, commenta la
rockstar, rilasciata dopo la visita al Memoriale del Genocidio in Rwanda. Una
visita che – come avvenne in occasione dello Yad Vashem di Gerusalemme – ha
profondamente commosso il presidente: “Il male esiste. E in forme a tal
punto brutali”.
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Lasciata l’Africa e Geldolf – il suo articolo merita davvero di essere letto:
va oltre il singolo viaggio fino a comporre un ricco ritratto presidenziale –,
Bush ha trovato poi un’altra sponda (assolutamente inaspettata) stavolta a
Hollywood. Protagonista dell’endorsement è Angelina Jolie, attrice e moglie di
Brad Pitt. Anche la Jolie, al pari di Geldolf, è attenta alle questioni
umanitarie: ha ottenuto la cittadinanza cambogiana ad honorem ed è
ambasciatrice dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
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Angelina, appena rientrata dalla sua seconda visita in Iraq in sei mesi, ha
preso in mano carta e penna e ha scritto una lettera al “Washington
Post”: “L’America ha l’obbligo morale di aiutare le famiglie
sfollate. Oltre due milioni di iracheni sono rifugiati nel loro stesso Paese,
senza casa, lavoro, cibo, medicine e acqua potabile. Il 58 per cento hanno meno
di 12 anni”. Per fare questo, dice la Jolie, è assolutamente necessario
che gli Stati Uniti rimangano stabilmente in Iraq: quello che vuole fare il
repubblicano John McCain (così come il padre-repubblicano dell’attrice, John
Voight, sponsor di Giuliani e da anni in rotta con la figlia) e quello che
assolutamente non vogliono i candidati democratici, Barack Obama e Hillary
Clinton.
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A loro, da democratica e supporter, si rivolge l’attrice: “Abbiamo un
serio interesse di sicurezza nazionale a lungo termine nel porre fine a questa
crisi. Gli Stati Uniti non possono permettersi di correre il rischio che oltre
quattro milioni di poveri e sfollati nel cuore del Medio Oriente esplodano in
una violenza disperata, consegnando l’intera regione a un’ulteriore spirale di
caos”. Ma non è tutto. Come ormai anche la stampa più progressista si
trova costretta a fare, l’attrice sottolinea anche l’importanza dei progressi
ottenuti nella regione: “Non possiamo permetterci di sperperare i
progressi fatti” ha dichiarato, in riferimento al “surge” del
generale Petraeus – che ha incontrato personalmente, insieme al premier
al-Maliki e ad alcuni soldati statunitensi. E proprio dal generale Petraeus,
che ha fatto un’ottima impressione alla Jolie, la star di Hollywood dice di
aver ottenuto importanti assicurazioni: “Mi ha promesso di appoggiare al
massimo ogni nuovo sforzo per risolvere la crisi umanitaria”.
Non un elogio di Bush – la Jolie è sempre stata contraria all’intervento
militare –, ma un riconoscimento positivo delle ultime iniziative militari e
umanitarie. E, soprattutto, una condanna del principale obiettivo della
campagna democratica: via dall’Iraq, il prima possibile.