“Per l’Italia la soluzione è il nucleare”

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“Per l’Italia la soluzione è il nucleare”

30 Maggio 2007

Intervista a Renato A. Ricci
di Emiliano Stornelli

Nel corso della presentazione della terza edizione della World Conference on the Future of Science che si terrà a Venezia dal 19 e al 22 settembre sul tema dell’Energy Challenge, Umberto Veronesi ha rilanciato l’opzione nucleare prospettando la costruzione di “dieci centrali in Italia nei prossimi dieci anni”. La proposta s’inserisce nella campagna per la reintroduzione del nucleare innescata dalla lettera aperta che Galileo 2001, l’Associazione che riunisce i principali esponenti della comunità scientifica italiana (tra cui lo stesso Veronesi), ha indirizzato nel mese di aprile al Presidente della Repubblica e al governo. Nella lettera, Galileo 2001 mette in evidenza che l’unico modo che ha l’Italia per ridurre le emissioni di gas serra del 6.5 per cento entro il 2012, come previsto dal Protocollo di Kyoto, sia quello di dotarsi di reattori nucleari per la produzione di energia elettrica. “Per sostituire il 50 per cento della produzione nazionale elettrica nazionale da fonti fossili – spiega nella lettera Galileo 2001 – basterebbe installare 10 reattori del tipo di quelli attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento complessivo inferiore a 35 miliardi di euro”. Il presidente di Galileo 2001, Renato Angelo Ricci, interviene sull’Occidentale a sostegno della reintroduzione del nucleare e della proposta formulata da Veronesi, denunciando anzitutto  “la scarsa diffusione della lettera inviata da Galileo 2001 al Presidente della Repubblica e al governo”.  

Come spiega lo spazio ridotto che i mezzi di comunicazione hanno riservato a un’iniziativa di tale importanza?
Quando si affrontano problematiche energetiche ed ambientali l’informazione è carente specie per quanto riguarda le opinioni o le prese di posizione di quella parte della comunità scientifica che si contrappone alla vulgata e ai luoghi comuni dell’ideologia ecologista. In particolare, quando si tratta di appoggiare l’idea di reintrodurre il nucleare in Italia si chiudono tutti gli spazi. Della lettera hanno parlato solo l’Occidentale e Il Giornale, mentre il silenzio degli altri giornali è stato assordante.  

Alla lettera ha almeno ricevuto risposta?
Solo da parte del Presidente della Repubblica. Il governo non si è fatto vivo e non è difficile comprenderne il motivo. Il Presidente, anche se ha preferito non prendere posizione sull’argomento, si è espresso a favore dell’aumento dello spazio informativo.  

Si fa un grande allarmismo sulla questione del surriscaldamento globale e sui cambiamenti climatici. Si dà per scontato che siano causati dalle emissioni antropogeniche di gas serra e che quindi l’uomo ne sia il responsabile. E’ vero?
In realtà, si tratta di una tesi discutibile, controversa e non dimostrata scientificamente. Ma a prescindere da ciò, mentre si assume come verità assoluta questa drammatica apocalisse circa i cambiamenti climatici, una delle poche possibilità in senso energetico che può drasticamente ridurre l’emissione di gas serra, e cioè il nucleare, nel nostro Paese viene largamente osteggiata sia dalla cultura che dalla politica.

Quali conseguenze negative ha provocato la rinuncia al nucleare successiva al referendum del 1987?
Va precisato che il referendum imponeva una moratoria nell’ottica di un ripensamento del piano energetico nazionale e non l’abbandono immediato del nucleare, tuttavia l’esito del referendum è stato interpretato in tal senso. La conseguenza negativa più evidente è l’alto costo delle bollette dell’energia elettrica, che in Italia è superiore di ben tre volte a quello della Francia e di una volta e mezzo rispetto alla media europea. Il paradosso è che l’Italia ha rinunciato alla produzione di nucleare, ma non al suo utilizzo. Il 17 per cento dell’energia elettrica importata viene dalle centrali nucleari francesi, svizzere, slovene e via dicendo. Con le dieci centrali di cui parla Veronesi, inoltre, oggi saremmo più in regola sul fronte del mantenimento degli impegni presi con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, per quanto il Protocollo sia inefficace. Per l’Italia, come per il resto d’Europa, è impossibile ridurre del 20 per cento le emissioni e il consumo di combustibili fossili e introdurre per il 20 per cento le cosiddette energie alternative senza far ricorso, almeno in una certa misura, al nucleare per la produzione dell’energia elettrica. Ma questa è la tipica schizofrenia italiana. Da una parte ci si allarma, dall’altra si ha la soluzione ma non la si vuole adoperare. In Europa, invece, il nucleare, con il 33 per cento, è la prima fonte di produzione di energia elettrica.  

Com’è la situazione negli altri paesi europei e nel resto del mondo?
In Europa e nel resto del mondo, in maniera più o meno evidente ma concreta, la prospettiva è la costruzione di reattori di nuova generazione, anche se i reattori di terza generazione continuano ad essere utilizzati. Si dice che non se ne costruiscano più ma non è vero. Francia e Finlandia ne hanno in progetto di nuovi, mentre Cina e India ne faranno a iosa. Gli Stati Uniti hanno prolungato la vita delle centrali che funzionano con questi reattori portandola da 30 a 60 anni. In Germania hanno detto che le avrebbero chiuse ma non lo faranno mai e anche in Svezia rimarranno aperte.

Da questo punto di vista, l’Italia costituisce un’anomalia rispetto alla gran parte dei paesi industrializzati.
L’Italia si trova in una condizione di grave arretramento ed è tempo che si rimetta in regola per rientrare nel contesto europeo e internazionale. Se l’ostracismo culturale e la reticenza politica non l’avessero impedito, l’Italia avrebbe potuto riaprire in maniera seria il discorso sul nucleare già dieci anni fa e oggi forse avremmo centrali già funzionanti. L’Italia in questi anni ha ceduto il passo nel campo della ricerca e dell’innovazione; se vuole partecipare ai progetti in corso per la costruzione di reattori nucleari di nuova generazione, dovrà dotarsi di una politica credibile e di una sua propria capacità scientifica e tecnica sul nucleare. Per far questo deve costruire centrali nucleari pilota, visto che le centrali che aveva sono state inopinatamente dismesse dopo il referendum. Dismissione che peraltro è costata un occhio della testa. Senza strutture domestiche recuperare terreno %C3