Per l’Italia stabilità vuol dire avere obiettivi precisi
03 Ottobre 2013
Sui modi e tempi con cui il centro destra, alla fine compatto, ha votato la fiducia al governo Letta si sono spese già molte parole. Tuttavia ci pare che non sia stata colto un aspetto essenziale. Il voto favorevole di Berlusconi non è stata una giravolta improvvisa, una trovata geniale per non restare spiazzato che è uscita all’ultimo minuto da un cilindro che pareva vuoto, ma contiene un’indicazione politica preziosa: l’unità del partito è un valore in sé che va tutelato e difeso. Solo tenendo unito il partito (quale che sia il nome che esso porti) si può salvare e rafforzare il lascito migliore del berlusconismo, evitando che la democrazia italiana sia nuovamente risucchiata nella morta gora di un equilibrio centrista.
Più che un colpo di teatro la scelta di Berlusconi è stata una dimostrazione di etica della responsabilità che va apprezzata, soprattutto se si tiene conto del logoramento fisico e mentale cui è stato sottoposto da uno spietato accanimento giudiziario. C’è da augurarsi che il gruppo dirigente del partito, pur nella diversità delle posizioni, sappia cogliere e valorizzare questo suggerimento. In tal senso la prospettiva di gruppi parlamentari diversi, che è stata ventilata, non ci pare promettente. Al contrario rischia di cristallizzare divergenze che, invece, occorre mediare e far convivere. Come è giusto che accada in un movimento che vuole rappresentare moderati, conservatori e liberali.
Queste considerazioni ci portano al secondo punto del nostro discorso. La rinnovata fiducia, abbiamo sentito ripetere spesso in queste ore, rende il governo Letta più stabile. E sta bene. Pure, la stabilità non è un valore in sé ma solo un elemento accessorio, utile ma non decisivo. Per valorizzarla occorre fissare con precisione, e perseguire con decisione, precisi obiettivi per l’esecutivo. Anzitutto occorre ritrovarne lo spirito originario, quello di un governo di pacificazione nazionale che, con una collaborazione paritetica e temporanea tra forze politiche diverse, metta fine alla guerra fredda strisciante che ci appesta da troppi anni. In questo clima diverso occorre confermare le scelte di sollievo fiscale (cancellazione dell’Imu, non aumento dell’Iva) e di riduzione della spesa pubblica (a cominciare dai costi standard per la sanità di cui si parla da troppo tempo).
Infine, last but not least, bisogna portare a termine il percorso di riforma costituzionale che si è intrapreso; ricercando un nobile compromesso tra visioni diverse, ma valorizzando il molto che, in un dialogo paziente, si è pure costruito in questi ultimi anni. Un elenco che a costo di risultare noiosi vale la pena richiamare di nuovo: rafforzamento dell’esecutivo, superamento del bicameralismo (con riduzione dei parlamentari), riordino delle competenze tra stato e regioni, e poi anche la legge elettorale. L’Italia, per tornare a crescere, ha bisogno di adeguare le sue istituzioni al mondo del dopo guerra fredda e della globalizzazione. Entro il 2015 bisogna riuscirci.