Per l’ospedale Charlie non deve tornare a casa

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Per l’ospedale Charlie non deve tornare a casa

27 Luglio 2017

Incredibilmente neppure ieri il Gosh (l’ospedale inglese in cui Charlie è ricoverato) è riuscito a trovare un accordo con i coniugi Gard su dove e quando il piccolo  passerà gli ultimi giorni della sua vita. Eppure Connie e Chris avevano trovato un ventilatore (immaginiamo delle dimensioni giuste per la porta di casa, ritenuta dall’ospedale, come abbiamo riportato ieri,  “troppo stretta”) e alcune infermiere del Gosh che volontariamente avrebbero assistito il piccolo, oltre a un medico disponibile. 

Ma il Gosh è stato durissimo. Di tornare a casa non se ne parla. Si fa fatica anche per un hospice. Continuano a dire che Charlie può morire solo in ospedale, e solo lì può essere assistito fino a quando sarà staccato dal respiratore. 

Finchè siamo arrivati all’apice di quella che è apparsa come una  estrema forma di crudeltà: il giudice ha mandato via la stampa perché i genitori e l’ospedale si accordassero su quanti giorni dovessero passare fra le dimissioni di Charlie dal Gosh e la sua morte per distacco del ventilatore (“estubato” è la parola d’ordine). Più chiaramente: il giudice ha cercato di obbligare genitori e Gosh a trovare un accordo su quanti giorni di vita dare a Charlie. E per farlo ha mandato via i giornalisti, in teoria per il rispetto della privacy per una decisione tanto delicata; in pratica, suppongo, per l’imbarazzo (e spero la vergogna) della situazione, tutta sotto i riflettori internazionali.

Ma genitori e ospedale non si sono accordati, e quindi, se non si trova una soluzione entro oggi alle 12.00, Charlie sarà trasferito in hospice, per ordine del giudice.  Adesso i genitori stanno cercando un medico intensivista disponibile ad assistere Charlie, fino alla morte. Sempre in un hospice.

Qual è la differenza, allora, fra le due soluzioni? Il tempo. Se l’hospice è quello indicato dal giudice, il tubo sarà staccato dopo poco. Se invece si trova un’equipe disponibile – insieme a chissà quali altre condizioni che i rappresentanti dell’ospedale possono inventarsi – allora i genitori potranno tenere Charlie attaccato più giorni, forse una settimana, come avevano chiesto all’inizio.

Cerchiamo di capire il senso di questo scontro, che oscilla fra malvagità e ridicolo, da una parte, ed eroica, ma umanissima, resistenza, dall’altra. Malvagità, per lo stress a cui sono sottoposti quei genitori, costretti a sorbirsi ore di tribunale a trattare sulla morte di loro figlio mentre vorrebbero stare solo insieme a lui per il poco tempo che resta. Le agenzie ci dicono che Connie ha lasciato l’aula visibilmente scossa, prima che il giudice comunicasse la sua decisione, e fra i singhiozzi ha chiesto  “Cosa faresti, se fosse tuo figlio? Spero che tu sia in pace con te stesso” (quest’ultima frase è stata riportata solo dalle agenzie inglesi).

Ridicolo, come il problema del ventilatore che, secondo gli esperti del Gosh, non avrebbe mai potuto passare per la porta di casa Gard. Che aveva anche scale, e spigoli, e angoli che avrebbero reso impossibile l’ingresso di questo strumento. Con Chris Gard che oggi spiega via twitter che la loro casa è a piano terra, e senza scale (anche questa i giornali italiani non l’hanno scritta). 

L’ostinazione del Gosh supera di gran lunga quella del faraone d’Egitto di biblica memoria. Perché tanta durezza, rigidità, ostinazione oltre ogni ragionevolezza? Ma quanti finanziatori (essenziali per le strutture sanitarie inglesi) sperano di trovare dopo questa storia, se escludiamo le pompe funebri?

Teoricamente, seguendo la “logica” del contenzioso giuridico, se Charlie soffre (cosa mai dimostrata), il suo miglior interesse è morire: non può andare a casa, secondo il Gosh, per  “problematiche di tipo pratico, e legate alla sicurezza e al miglior interesse per il bambino” (ricorda tanto la storia del sig. Singleton, il condannato a morte che non poteva essere ucciso se prima non era curato). 

Il fatto è che l’ospedale inglese non vuole essere smentito. Vuole essere sicuro che la sentenza sia eseguita: cosa succede se, una volta a casa, Charlie non muore subito? Siamo sicuri che Connie e Chris staccheranno poi quel ventilatore, una volta che  il figlio sarà nella sua culla, accanto a loro, finalmente a casa?  A quel punto sarebbe difficile obbligarli: che fanno, mandano la polizia a staccare la corrente elettrica?

Assediano il condominio e con l’altoparlante gridano da fuori “arrendetevi, siete circondati”? Chiaramente niente di tutto questo. Semplicemente al di fuori di una struttura pubblica il Gosh non può più gestire la situazione, che tornerebbe in mano alla famiglia Gard, e il piccolo guerriero Charlie rischia addirittura di continuare a vivere un po’, quasi per fare loro un dispetto (ricordiamo che l’avevano dato per perso già a novembre, volevano staccare la spina a febbraio, e fra poco è agosto). Sarebbe una sconfitta su tutti i fronti, e un precedente intollerabile sia per il Gosh che per la  giustizia inglese. E che succederebbe se poi venisse fuori qualche genitore che si è trovato o si trova nella stessa situazione dei Gard?

Charlie deve morire, come stabilito: velocemente e sotto la regia attenta del Gosh. E guai a chiamarla eutanasia.