Per non crollare, l’Ue deve ripensare il rapporto tra rigore e crescita

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Per non crollare, l’Ue deve ripensare il rapporto tra rigore e crescita

Per non crollare, l’Ue deve ripensare il rapporto tra rigore e crescita

24 Aprile 2012

Altro crollo dei mercati finanziari e nuova fiammata dello spread tra Btp-Bund, che da un po’ di giorni si attestano costantemente in prossimità della soglia dei 400 basis points. E’ evidente che, almeno nel breve periodo, dovremo abituarci a fare i conti (pubblici) con questi livelli di rendimento sui titoli di Stato, il che è una pessima notizia, se si pensa che a risentire di questa crisi è la spesa in conto interessi. I 430 miliardi in più di dotazione del Fondo Monetario Internazionale non sono quindi serviti ad allentare le tensioni sui mercati. In sofferenza, oltre ai nostri titoli di Stato, anche i Bonos spagnoli, anche loro con lo spread costantemente sopra i 400 basis points.

Ad alimentare le tensioni, questa volta, è la situazione politica europea, con le elezioni francesi in primo piano. Il vantaggio momentaneo di Hollande, notoriamente schierato in ottica anti-rigorista, preoccupa gli investitori. Nel caso in cui il candidato presidente socialista dovesse vincere le elezioni si aprirebbe un grosso punto interrogativo sul futuro europeo. Se questo dovesse essere lo scenario, l’asse franco-tedesco potrebbe definitivamente essere messo in discussione, e la politica di rigore imposta dal duo Sarkozy-Merkel potrebbe essere messa per la prima volta in minoranza.

La Francia non è l’unico paese alle prese con un’attenta riflessione sulla volontà di proseguire sulla strada delle misure draconiane cui sottoporre le finanze statali. In Olanda sembrano certe, oramai, le elezioni anticipate, dopo le imminenti dimissioni del premier Rutte, a seguito del fallimento delle trattative tra il governo e il partito populista di Geert Wilders proprio sulle misure da intraprendere per riportare i conti pubblici in linea con gli obiettivi fissati da Bruxelles.

E’ inequivocabile che in tutta Europa si stia ripensando, anche in virtù dei cambi di governo succedutesi ultimamente nel vecchio continente, alle alleanze, soprattutto sul delicato rapporto rigore-crescita. Il clima anti-tedesco, che da anni covava latente tra i governi e i cittadini europei, si è improvvisamente esacerbato, poiché ci si è accorti che le regole di finanza pubblica sono state scritte su misura dell’economia tedesca, che prospera e cresce, mentre tutte le altre economie europee sono obbligate a percorsi di rientro dal deficit e dal debito lacrime e sangue.

Che ci sia il rischio di una pesante frattura tra i leader europei è ormai un fatto acclarato. E deve essere altrettanto chiaro che, se l’Europa dovesse proseguire sulla strada imposta dalla Germania, ci dovremo aspettare almeno un decennio di crescita pari a zero, alti livelli di disoccupazione e depauperamento della ricchezza reddituale e patrimoniale dei cittadini. Gli stati europei, è forse arrivato il momento di dirlo, dovrebbero iniziare ad opporsi perentoriamente ai diktat tedeschi, prima che siano gli elettori a punirli con l’arma del voto. I politici devono chiedersi se è questo lo scenario nel quale vogliono vivere nel prossimo futuro.