Per non dar alibi a Fli il Cav. punta sulle riforme. Per Fini è l’ora delle scelte

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Per non dar alibi a Fli il Cav. punta sulle riforme. Per Fini è l’ora delle scelte

04 Novembre 2010

Nessun alibi ai finiani, la bussola è e resta il programma di governo. Davanti al ‘plenum’ del partito, oggi il Cav. rilancerà i cinque punti votati dal Parlamento e dai quali per Fli adesso è difficile tirarsi indietro. Posizione dialogante ma ferma; un modo per mettere i finiani di fronte al fatto compiuto. Come a dire: se volete rompere fatelo da soli. Tattica speculare nel campo dei futuristi che dal Cav. attendono lumi sul come e quando completare le riforme. Passa da qui, il destino della legislatura.

“Evitare il voto e garantire la stagione delle riforme al Paese”. E’ l’ultima versione del futurista Italo Bocchino poche ore prima della direzione nazionale del Pdl. Messa giù così, sembra né più né meno la linea che il premier oggi darà ai suoi: andiamo avanti, priorità al programma di governo sul quale la maggioranza in Parlamento ha detto sì.

Ma se si guarda più in profondità, tra le pieghe delle parole che pure hanno un senso, nel messaggio del luogotenente di Fini se ne può cogliere un altro, implicito: Futuro e Libertà non vuole il voto anticipato e il presidente della Camera non può permettersi (a maggior ragione dall’alto del suo scranno) di guidare le sue truppe verso l’appoggio esterno al governo perché arrivare a tanto (come hanno fatto in tempi recenti prima Bertinotti poi Mastella con Prodi, così come nel lontano ’94 la Lega con Berlusconi) significherebbe tradire il mandato elettorale e far precipitare la situazione verso l’obiettivo che in realtà si vuole scongiurare.

Per questo, nonostante i toni trionfal-propagandistici in vista della convention di Perugia e l’enfatizzazione della campagna acquisti in casa Pdl (ieri altri due parlamentari hanno cambiato casacca facendo salire la pattuglia dei deputati a 37), non tutti i futuristi la pensano come Bocchino. C’è lo zoccolo duro dei moderati a frenare l’accelerazione che, invece, in questi giorni i Granata&Co hanno veicolato mediaticamente gettando benzina sul fuoco delle tensioni dentro la maggioranza. E c’è la consapevolezza diffusa che dopo i proclami, il dispiegamento delle truppe nel territorio e i tour da un capo all’altro dell’Italia per dire “siamo tanti e tutti insieme”, è arrivato il momento delle decisioni e dell’assunzione di responsabilità, qualunque sia la strada che verrà presa. Se la tattica finiana è sempre stata condizionare dall’interno il centrodestra aprendo una vertenza quotidiana col Cav. ora, paradossalmente, il tavolo si è rovesciato e a dover decidere dove e con chi stare sono gli uomini del presidente della Camera.

Perché? La linea che ieri il premier ha discusso coi suoi nei due vertici in vista dell’assemblea di oggi è netta: nessun condizionamento dalle manovre dei finiani, fuori e dentro il partito. L’obiettivo di fondo è varare il calendario delle riforme e sul piano del partito, avviare la ‘fase due’. E’ su questo che il Cav. concentrerà l’intervento in direzione, anticipano dal suo entourage.

Come? Sul piano del governo avanzando una serie di proposte da tradurre in fatti: dalla sicurezza, alla giustizia, dalla riforma dell’università, ad alcuni passaggi della manovra finanziaria tra i quali il decreto Tremonti per lo sviluppo (non a caso ieri a Palazzo Grazioli c’era pure il titolare del Tesoro). Sulla giustizia, c’è disponibilità a proseguire sui punti già mediati coi finiani, in particolare su separazione delle carriere tra pm e giudici e la riforma del Csm, ma – è il punto cruciale – la maggioranza intende proseguire nel solco di una “grande riforma costituzionale”.

In sostanza, la linea che animerà il documento sottoposto all’assemblea pidiellina si muove su due direttrici: da un lato “rilancio in positivo” dei cinque punti programmatici mantenendo una sorta di “dialogante apertura” con Fli che potrebbe passare anche da un patto federativo per portare a compimento la legislatura; dall’altro serrare i ranghi del partito e “coesione interna”, come hanno ribadito ieri i coordinatori nazionali Verdini e La Russa convinti che le defezioni nel Pdl siano essenzialmente riconducibili a scelte personali, non politiche. Anche se non si sottovaluta il fenomeno e lo stesso premier in queste ore sarebbe impegnato in una serie di ‘faccia a faccia’ coi parlamentari più insofferenti per stoppare il rischio di nuove fughe e raccomandando ai suoi massima attenzione specie al Senato. Ma il vero nodo della matassa, ruota attorno a due passaggi strategici: cosa dirà oggi Berlusconi a Fini e cosa Fini risponderà a Berlusconi, da Perugia.

Nel Pdl sono in molti a ritenere che il messaggio del Cav. per il presidente della Camera suonerà più o meno così: questo è il programma che tu hai scelto di sostenere, questi sono i contenuti sui quali Fli ha votato a favore un mese fa in Parlamento e che il governo vuole realizzare. Di fronte a questo – si ragiona a via dell’Umiltà – non è più possibile restare con il piede in due scarpe: o i futuristi dicono sì, confermando una posizione leale e coerente col mandato elettorale, oppure si assumono la responsabilità di aprire la crisi e far cadere l’esecutivo.

Quanto all’ipotesi di appoggio esterno, nelle file pidielline, viene considerata né più né meno alla stregua di un sostanziale disimpegno, cioè la volontà di staccare la spina. Esattamente quello che il finiano Viespoli ha confermato non essere nei piani di Fli.

Apparentemente tattiche speculari, nel più classico gioco delle parti tra avversari politici. Sette mesi dopo la prima direzione nazionale del Pdl che sancì lo strappo tra i due co-fondatori del partito, di acqua (e veleni) ne è passata molta sotto i ponti della maggioranza. Fini oggi non ci sarà, Berlusconi sì. E tattiche a parte, è l’ora delle scelte. Chiare e definitive.