Per Obama un attacco israeliano all’Iran è scenario più che sgradito

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Per Obama un attacco israeliano all’Iran è scenario più che sgradito

09 Marzo 2012

Un occhio puntato sul dossier iraniano, l’altro sui risultati del super Thursday per capire chi sarà il suo sfidante nella corsa alla Casa Bianca. Sono passati così gli ultimi giorni di Barack Obama. Le due vicende sono strettamente collegate. Il presidente americano teme che un eventuale strike israeliano contro il paese dei mullah faccia esplodere il prezzo del petrolio proprio nell’anno elettorale. Martedì Leon Panetta ha detto ancora una volta  che tutte le opzioni sono sul tavolo, concetto pubblicamente ribadito dalla Casa Bianca. Ma l’atteggiamento americano si è fatto più guardingo e lo stesso Obama ha invitato il premier israeliano Banjamin Netanyahu a non prendere decisioni affrettate e aspettare i risultati degli attuali sforzi diplomatici.

Martedì l’Unione Europea ha annunciato che presto riprenderanno i negoziati con la Germania e i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina) dopo un’esplicita richiesta del regime degli ayatollah. E la solita tattica di Teheran per prendere tempo. Ma alla Casa Bianca sembrano volerci credere. Strano ma vero, si sta consolidando l’improbabile asse “pacifista” tra Obama e Ali Khamenei. Anche la Guida suprema ha tutto l’interesse ad allentare la tensione nel Golfo. Le sanzioni della comunità internazionale stanno facendo effetto, l’economia attraversa uno dei suoi momenti più bui degli ultimi anni, l’inflazione è arrivata a livelli record.

Le elezioni presidenziali hanno decretato la vittoria del fronte della Guida suprema su quello di Mahmud Ahmadinejad, confermando che il blocco conservatore al potere è sempre più diviso. A fare le spese delle miti intenzioni di Washington e Teheran potrebbe essere proprio Netanyahu. In questo gioco di specchi Israele rischia di rimanere isolato. Mentre il programma nucleare iraniano avanza. Intanto la possibilità di bombardare la Repubblica islamica monopolizza sempre più il dibattito israeliano. Secondo un sondaggio diffuso da Brooking Institution, solo il 19 per cento della popolazione sarebbe favorevole a un attacco unilaterale. Poco, troppo poco per un paese che deve prepararsi a fronteggiare la rappresaglia di Hezbollah e Hamas.

Chi ha le idee molto più chiare è l’editorialista del Wall Street Journal Bret Stephens, per il quale non è sufficiente un attacco preventivo, ma occorre liberarsi totalmente del regime iraniano. Per l’ex direttore del Jerusalem Post,  se non si ottiene un regime change, Israele si troverà di fronte a una nuova guerra dello Yom Kippur.  “La Repubblica islamica vuole distruggere Israele. Se Israele vuole sopravvivere, deve promettere di fare lo stesso”. Ma un attacco all’Iran non sarebbe come il conflitto del 1973. E non sarebbe neppure il blitz lampo come quello del 1981 quando una decina di caccia F-16 di Tel Aviv distrusse il reattore di Osirak. Da allora gli iraniani hanno imparato la lezione. Centrali e centrifughe nucleari sono state sparpagliate in un’area territoriale piuttosto ampia. L’intelligence israeliana conosce il mega reattore di Busher (sud-ovest del Paese), le centrifughe di Natanz (centro), Karaj (nord-ovest), e Amarak (centro-sud). I punti più avanzati del programma nucleare sono stati costruiti sotto terra o nascosti nelle montagne. Questo significa che non basterebbero le bombe perforanti  “bunker buster”.

Bisognerebbe allora ricorrere ai missili balistici, che, sparati da terra, escono dall’atmosfera per poi rientrarci, puntando al terreno sfruttando una spinta nettamente superiore. C’è poi il problema di come arrivare sui cieli iraniani. I caccia israeliani avrebbero due strade. Possono passare da Sud, che implicherebbe attraversare lo spazio aereo di Giordania e Iraq, oppure da Nord, attraverso la Turchia o la Siria. Nessuna di queste nazioni attualmente sembra disposta a concedere il diritto di sorvolo del proprio spazio aereo. Secondo l’analisi del New York Times, che ha avuto accesso a fonti delle alte sfere dell’esercito statunitense, bombardare l’Iran sarebbe una specie di “mission impossibile” che non tollererebbe il più piccolo errore. Visti i rischi, se Tel Aviv si vuole servire solo dell’aviazione, è meglio ripiegare su un attacco selettivo, meno massiccio ma comunque incisivo. è molto più probabile che l’offensiva israeliana punti a rallentare il programma atomico iraniano, colpendone gli snodi più importanti, piuttosto che ad annientarlo.