Per paura dello sfratto dall’Eliseo Sarkò riscopre la destra dopo averla ripudiata
12 Marzo 2012
Ma guarda un po’: Nicolas Sarkozy è rinsavito. Le elezioni presidenziali sono una cura efficacissima contro la regressione politica della quale si era ammalato subito dopo il suo ingresso all’Eliseo quattro anni fa. E’ bastato che il candidato socialista François Hollande e la leader del Front National, Marine Le Pen, ne minacciassero concretamente la riconferma che nel suo cuore gli si è riaccesa la fiamma gollista.
E allora giù fiumi di retorica nazionalista a buon mercato, citazioni europeiste non proprio in linea con quelle condivise fino a poche settimane fa con la Merkel, invocazioni a Giovanna d’Arco, a Victor Hugo, a Robert Schuman, a Jean Monnet (gli ultimi due chissà quanto avrebbero gradito se avessero potuto ascoltarlo). E poi ancora la denuncia del Trattato di Schengen con relativa minaccia di chiudere le frontiere se entro dodici mesi non verrà rivisto, l’appello alla riconciliazione della Francia con l’Europa dei popoli e non con quella dei banchieri, l’allarme contro l’immigrazione che mette a repentaglio la sicurezza sociale. Ecco: tutto l’armamentario gollista lustrato e ammannito ai sessantamila che gremivano domenica scorsa l’enorme sala congressi di Villepinte, a nord di Parigi, dove il presidente per tutte le stagioni ha concluso il suo discorso con un patriottico, ma anche patetico, grido lanciato tre volte: “Aiutatemi!”. A fare che cosa non s’è capito. Ma il senso della kermesse è stato chiaro a tutti, simpatizzanti, antipatizzanti, avversari, nemici e vecchi compagni traditi: Sarkozy ha paura. Nello stesso tempo, però, nutre grande fiducia nelle idee della destra che aveva ripudiato; le sole idee che possono permettergli di risalire la china, anche se forse è già tardi.
Tardi per lui e per la Francia. Tardi per l’Europa che ha contribuito a modellare, insieme con la Merkel, negli ultimi anni. Tardi per coloro che lo hanno visto avanzare come un Napoleone in sedicesimo, caricatura perfino di se stesso, alla testa di una armata messa in piedi per fini spettacolari, economici e tutt’altro che politici per debellare un tiranno, tra i molti che sono a portata di tiro, ed intascare i dividendi delle ricchezze di un Paese come la Libia tutto da ricostruire, dove bande armate rendono impossibile la riorganizzazione di un minimo di convivenza civile.
Quest’ultimo particolare Sarkozy non lo aveva messo in conto quando spinse, subito dopo il pranzo all’Eliseo con i leader occidentali ed alcuni satrapi del mondo arabo, il pulsante che diede inizio alle operazioni militari contro Tripoli, lasciando tutti di sasso. Della sovranità degli altri, a ben vedere, al presidente è importato sempre poco o niente. Quella francese l’ha barattata più volta con l’Europa di Francoforte che oggi non gli sta più tanto bene. E quella degli “amici” come gli italiani l’ha ridotta ad una burletta. Adesso si ricorda che è un uomo di destra, che la sua Patria non può finire nelle mani di un socialista, che i francesi perbene ma disgustati dal suo quadriennio farebbero male ad assecondare la Le Pen che mai avrebbe la possibilità di vincere.
Troppo facile, monsieur le president. La coerenza è ancora una valore da certe parti. Compreso in quell’Ump, da Sarkozy fondato per rinnovare il gollismo morente dopo il decennio chiracchiano, dove non tutti sono disposti a fargli credito, a ridargli fiducia. Ha sei settimane per far ricredere il suo elettorato il candidato della “destra presentabile”. Se almeno avesse l’intelligenza di offrire alla Le Pen un patto fondato sull’introduzione del proporzionale alle legislative, in modo da assicurare al Front National una forte presenza all’Assemblea nazionale, forse ce la potrebbe ancora fare ad intascare i voti di quella che viene considerata a tutti gli effetti la sola destra, nonostante vecchi nostalgici del fronte del popolare e comunisti in disarmo vorrebbero far credere il contrario.
Ma Sarkozy è duro, non capisce che per vincere deve riunire la Francia non di sinistra tutta intera, procedere ad una sorta di “fusionismo presidenziale”, cercare alleanze invece che confiscare consensi con la furbizia che è sempre stata la sua arma migliore fino a ieri. Soprattutto sembra non convincersi che non può fare il gollista a corrente alternata, l’europeista nazionalista quando gli conviene e l’europeista “dei tecnocrati e dei tribunali”, per usare le sue stesse parole, quando gli pare o quando qualcun altro gli detta l’agenda.
Dica chiaro e tondo con chi vorrebbe governare una volta tornato all’Eliseo, in modo che i suoi elettori non si ritrovino attorno al tavolo di Palazzo Matignon ministri che flirtano con la sinistra o provengono, come è accaduto, dalle file socialiste. Insomma, sia chiaro e sincero. Se non proprio come lo fu De Gaulle, almeno come lo sono stati coloro che lo hanno preceduto richiamandosi al Generale non soltanto per vincere, ma anche per far vivere quella “certa idea della Francia” che è stato un riferimento serio ed appassionato per le destra di tutta Europa. Anche per la destra italiana,in parte, dimentica ormai di se stessa, delle proprie radici, della storia tutt’altro che ignobile dalla quale discende.
Ecco, uno spunto francese per noi “cugini”: si riprendano quelle stesse idee che Sarkozy sta riproponendo, forse credendoci poco, e le si semini. Chissà, da una nuova destra potrebbe venir fuori un polo conservatore capace di innovare istituzioni, economia e cultura. Anche se è piuttosto arduo credere che una destra del genere è possibile farla rifiorire dove sono passati i barbari.