Per Prodi è il Welfare il vero scoglio da superare

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Per Prodi è il Welfare il vero scoglio da superare

Per Prodi è il Welfare il vero scoglio da superare

26 Novembre 2007

Diciamoci la verità: dopo il voto del Senato sulla legge finanziaria la maggioranza ha cantato troppo presto vittoria, indotta a farlo da un errore tattico di Silvio Berlusconi il quale per molte settimane aveva enfatizzato – indicandone persino la data – il momento della prima lettura del disegno di legge a Palazzo Madama come l’occasione di una crisi di governo tanto grave da arrivare persino allo scioglimento delle Camere e alla consultazione elettorale anticipata.

E, di converso, l’opposizione (in questo caso soprattutto An e l’Udc) hanno ammesso troppo rapidamente la sconfitta.

I fatti successivi stanno invece a dimostrare che la battaglia entra nel vivo adesso e che si svolgerà sul terreno del disegno di legge che ha recepito e dato attuazione al protocollo del 23 luglio.

La fretta di voltare pagina è stata intempestiva. Non che fosse in vista per il Cavaliere (effigiato da Libero come Napoleone) il sole di Austerlitz. Ma la disfatta di Waterloo (ovvero l’esigenza di cambiare linea di condotta) era ancora lontana. La maggioranza e il governo, con i numeri che si ritrovano al Senato, sono sempre a rischio, soprattutto quando vengono in gioco interessi tanto robusti da lacerare – come sta avvenendo – l’Unione. Così, sarebbe bene che quanto resta dell’opposizione al Senato, riavvolgesse all’indietro la moviola dei processi politici, evitando di proiettarsi ancora di più in un nuovo quadro politico, mentre quello vecchio non ha ancora tirato le cuoia. Nelle prossime ore ne sapremo sicuramente di più.

Il Governo è autorizzato a porre la fiducia alla Camera, ma non si è ancora capito quale sarà il testo su cui sarà chiesto il voto: quello del ddl orginario, quello varato dalla maggioranza in Commissione referente oppure uno del tutto nuovo che sia in grado di tenere insieme Diliberto e Dini ovvero il diavolo e l’acqua santa? Tutto ciò in un contesto più generale in cui la Confindustria protesta vivacemente contro la “concertazione tradita” e Cgil, Cisl e Uil non hanno sicuramente piacere di essere scavalcate a sinistra dalle formazioni neocomuniste. Va da sé che non vengono in causa solo problemi di metodo: i contrasti derivano da lontano e riguardano specifici contenuti attinenti alla controriforma delle pensioni e agli attacchi alla legge Biagi e a tutta la moderna legislazione del lavoro.  E la sinistra neocomunista è troppo ringalluzzita per i successi conseguiti in Commissione Lavoro della Camera (dove la maggioranza ha persino approvato emendamenti sui quali il Governo aveva espresso parere negativo) per accettare il ripristino del testo originario. Inoltre, può sorgere un altro problema.

Anche se il Governo lo nega, è assai probabile che almeno le norme in materia di pensioni finiranno, alla Camera, in un emendamento alla legge di bilancio, allo scopo di rendere applicabile, il 1° gennaio prossimo, la revisione dello “scalone” (ormai basta la parola) in mancanza della quale il salto dell’età pensionabile di anzianità – da 57 a 60 anni – sarebbe immediatamente operativo, in quanto sancita da una legge in vigore.

Sulle pensioni (come sulle parti riguardanti il mercato del lavoro e segnatamente la manomissione dei contratti a termine, del lavoro intermittente e della somministrazione) non vi sono soltanto dei dissensi tra maggioranza ed opposizione (il senatore Maurizio Sacconi di FI ha evocato un nuovo Vietnam, se la maggioranza tentasse di svuotare la legge Biagi). La stessa Unione è notevolmente divisa.

La sinistra neocomunista finirà, sia pure a malincuore, per accettare la soluzione Damiano/Padoa Schioppa concernente il mix scalini più quote (che riconferma il percorso della legge Maroni del 2004 rendendolo più lungo e flessibile, con un maggior onere – non lo si dimentichi mai – di 7,48 miliardi in un decennio), ma ha scelto, oltre a chiedere qualche contentino sulla legge Biagi, il tema delicato della tutela dei lavori usuranti per lanciare la sua sfida al Partito democratico e ai sindacati.

Alla Camera, il tentativo di allargare le maglie di una disciplina già troppo generosa e potenzialmente destabilizzante dei conti pubblici (previsioni serie temono che la copertura prevista dovrà essere moltiplicata per 4-5 volte) è riuscito in Commissione e potrebbe anche avere successo in aula, considerati i numeri della maggioranza. Ma come si regolerà il Governo di fronte ai moniti delle parti sociali e la presa di distanza di Lamberto Dini ? Per adesso l’input lo ha dato Walter Veltroni, suggerendo di cercare una nuova formulazione che non stravolga il senso del protocollo. Ma se ciò si rivelasse impossibile – ha proseguito Veltroni – l’esecutivo dovrà attenersi alla stesura iniziale, ritenuta più conforme al testo del protocollo. Ma a questo punto quale sarà l’atteggiamento degli ultras della sinistra se il Governo si mostrerà attento alle istanze dei liberaldemocratici ?

Per i lavori usuranti (il vero casus belli) il ddl  non ha inserito, nell’articolato della delega, il riferimento a 5mila trattamenti all’anno, in precedenza assunto nel protocollo quale parametro per individuare le “risorse massime disponibili su base annua pari mediamente a 252 milioni di euro”.

La norma ha stanziato il fabbisogno, anno per anno, fino al 2017 (peraltro, a sommare i relativi oneri, i finanziamenti previsti – per 2,86 miliardi  – superano di 340 milioni l’importo dei 2,52 miliardi indicato nel protocollo stesso).

Come se non bastasse, la Commissione Lavoro della Camera, cancellando il riferimento alle regole vigenti in materia di requisiti per il lavoro notturno, ha di fatto posto le premesse per un allargamento indiscriminato della platea degli aventi diritto al beneficio previsto per i lavoratori adibiti a mansioni usuranti (tre anni in meno di età pensionabile con un minimo di 57 anni).

A questo punto le componenti riformiste della maggioranza si attaccano al limite indicato per la copertura finanziaria, per cui – sostengono – ci sarebbe un ampliamento del numero dei lavoratori potenzialmente interessati, ma pur sempre a parità di oneri. A tale considerazione è facile obiettare (come hanno fatto ieri Lamberto Dini e Natale D’Amico in un articolo sul Sole 24 Ore) che si tratta di argomenti inconciliabili, perché non sarà mai possibile riconoscere il diritto al pensionamento agevolato  a centinaia di migliaia di lavoratori e deludere poi le loro aspettative per mancanza di risorse.

Inoltre, come se fosse una bandiera, la sinistra ha preteso di scrivere nel ddl che il lavoro subordinato è di regola a tempo indeterminato: una vera e propria – quanto inutile – petizione di principio, che ricorda la scritta sul muro della “Fattoria degli animali” di George Orwell: tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.

Un’ultima considerazione: la Cgil ha chiesto che il Governo riconvochi le parti se intende portare delle correzioni al protocollo. A parte le questioni di metodo, si tratta di un tentativo furbesco di salvare capra e cavoli. A Corso Italia sanno che i sindacati non potrebbero rifiutare delle offerte più generose del Governo. In fondo, alla Cgil importa soltanto la concorrenza con la sinistra trinariciuta.