Per proteggersi dalla crisi europea, la Cina torna a ‘guardare’ all’Asia
02 Giugno 2012
Il Dragone non morde più come una volta. Nel primo trimestre del 2012 il Pil della Cina è cresciuto del 5,3%. Ad Aprile, il mese più duro dall’inizio della crisi globale, è andato ancora peggio. Un andamento del ciclo economico decisamente troppo blando che inquieta i leader di Pechino. I timori sono più che giustificati visto che è da un ritmo di crescita sostenuto (che secondo gli analisti non deve essere inferiore al 8% su base annua) che dipende il consenso del regime comunista e la pace sociale. E’ per questo che, secondo indiscrezioni, il governo sarebbe pronto a varare un super piano di stimolo all’economia del valore complessivo di 300 miliardi di euro. Tanto per farsi un’idea della massa di denaro che la Cina potrebbe mettere in circolo nella propria economia, basta pensare a quando nel 2008 il sistema finanziario americano sembrava a un passo dal collasso L’allora presidente George W. Bush varò un piano salva banche da 700 miliardi di dollari. Allora si trattava di salvare la prima economia del mondo, qui stiamo parlando di aumentare la crescita del Pil.
Le indiscrezioni si rincorrono da giorni. I mercati finanziari sembrano credere al maxi piano. A una riunione del Consiglio di Stato svoltasi il 23 Maggio, il premier Wen Jiambao si è limitato a dire che è necessario che il Governo “ponga una maggior enfasi sulla crescita”. La nomenclatura che guida il Partito comunista cinese deve decidere in fretta perché la crisi economica che ha colpito duramente gli Stati Uniti e l’Europa bussa contro la muraglia cinese. Pechino non può più illudersi di restare immune al contagio. Il modello di sviluppo cinese è ancora troppo sbilanciato su una impostazione export-lead. Il mercato interno non è ancora abbastanza sviluppato per controbilanciare i carrelli vuoti degli Occidentali. Americani ed Europei riducono i consumi mandando a tappeto le esportazioni cinesi. Ma questo non è l’unico fattore di vulnerabilità del sistema cinese.
La crescita del gigante asiatico dipende per larga misura dagli investimenti diretti esteri. Ma nel corso dell’’Aprile nero’, il flusso di capitali in arrivo dall’Unione europea è crollato del 28%, quelli in arrivo dagli Stati Uniti sono aumentati appena dell’1,6%. Se il pericolo arriva dalle malmesse economie dell’Ovest, allora è meglio fare fronte comune con i vicini asiatici. Cina, Giappone e Corea del Sud sono pronte, infatti, ad avviare una zona di libero scambio. Due settimane fa, Wen ha incontrato a Pechino il suo omologo Yoshihiko Noda e il presidente coreano Lee Myung-Bak. Le tre economie più grandi dell’Asia vogliono coalizzarsi per realizzare un firewall che le difenda dalle convulsioni di un Europa sempre più traballante.
L’alleanza è agevolata dal fatto che le tre economie sono praticamente complementari. Pechino fornisce agli altri due paesi perlopiù prodotti a basso costo e impianti produttivi di buon livello con un basso costo della manodopera mentre Tokyo e Seoul riforniscono i cinesi di quella tecnologia che Pechino ha bisogno di acquisire per ammodernare il proprio apparato produttivo. Ma l’alleanza commerciale con Giappone e Corea del Sud ha anche una funzione strategica ben precisa. Vale a dire, reagire al tentativo degli Stati Uniti di limitare il ruolo della Cina nel processo di integrazione commerciale dell’Estremo Oriente. Perché la supremazia sull’area Asia-Pacifico non si ottiene solo rafforzando la presenza militare nella regione (gli Usa hanno appena deciso di inviare 2500 marines in Australia).
Con il vertice Apec dello scorso novembre, Barack Obama ha inaugurato la nuova strategia americana per contenere l’espansionismo commerciale cinese. La Casa Bianca punta forte sul’integrazione economica della regione attraverso l’ampliamento della Trans-Pacific partnership. La Ttp potrebbe diventare la più grande area di libero scambio a livello mondiale. Per non trovarsi fuori dai giochi economici in quella che è l’area più dinamica del mondo, la Cina punta sulla costruzione di una struttura commerciale ‘trilaterale’ con Giappone e Corea del Sud, che al momento hanno soltanto avviato le trattative per l’ammissione all’area di libero scambio voluta dagli americani.
Non poter vendere i propri prodotti in giro per l’Asia, vedersi marginalizzati da un processo di liberalizzazione degli scambi che promette di far diventare il continente asiatico il motore della crescita mondiale del prossimo futuro, per la Cina può persino essere più pericoloso che vedere le portaerei americani andarsene in giro per il Pacifico.