“Per Renzi una sconfitta che va oltre il dato elettorale”

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“Per Renzi una sconfitta che va oltre il dato elettorale”

«La sconfitta di Renzi va oltre il voto e la vittoria di Milano l’ha appena attenuata. Ancor più che politica, è stata sconfitta del metodo: Renzi ha fatto passare l’arroganza per decisionismo, l’occupazione del potere per capacità di governo. Ma ciò che è più grave è che Renzi ha rotto lo schema con il quale si era partiti a inizio legislatura, uno schema in cui le due culture politiche tradizionali si univano per costruire un terreno comune attraverso le regole. Renzi ha imposto un suo schema – lui da una parte, gli altri dall’altra – facendo nascere una solidarietà tra M5s e centrodestra che si è espressa naturalmente al secondo turno, soprattutto a Torino».

Renzi ha perso, ma il centrodestra non ha vinto…

«Il centrodestra non ha perso. Non l’ha spuntata a Milano, ma ha vinto e strappato alla sinistra Trieste, Grosseto, Olbia, Pordenone, Isernia, Brindisi e potrei continuare. Ma il dato che più colpisce è un altro. Il centrodestra non ha perso ma non hanno vinto né Forza Italia né Lega né Fdi, il che significa che esiste un elettorato al di là dei partiti e se questo elettorato incontra una sua rappresentanza la proposta diventa vincente. A Napoli si è perso perché non c’è stata una novità forte, ci si è fermati a cinque anni fa».

A Roma e Torino è andata peggio che a Napoli mentre a Milano è mancato l’acuto per vincere.

«A Roma e Torino sono prevalse le divisioni partitiche. Il risultato di Milano non lo catalogherei come negativo considerato che ci si confrontava con un’amministrazione uscente e con un candidato, Sala, che impersonava un successo come l’Expo. Quel che è mancato a Milano è stato il rapporto di solidarietà con il M5s. La sinistra ha tenuto e ha aggiunto i radicali, Parisi è cresciuto ma non ha aggiunto il voto grillino».

Archiviato il risultato, cosa insegna il voto delle amministrative?

«C’è un dato che in pochi hanno compreso. L’Italia ha vissuto tre svolte. La prima con il voto del 1948 che segnò l’inizio della Guerra fredda; la seconda nel ‘94 con l’avvento del bipolarismo; la terza nel 2013 con la nascita del tripolarismo. Per venti anni si è giocato con due squadre e vinceva chi faceva meno autogol. Dal 2013 queste due squadre continuano a fare autogol ma i punti vanno a una terza squadra, il M5s, imbattibile al secondo turno perché raccoglie naturalmente il consenso del polo escluso dal ballottaggio».

La morale è che con l’Italicum il M5s diventa il vero favorito. 

«Se va al ballottaggio non ci sono dubbi, vince. L’Italicum non stabilizza, non è una legge prudente. Al cospetto di problemi ai quali i partiti tradizionali non sono capaci di dare risposte, la cosa più saggia sarebbe uno schema che non coalizzi le spinte anti-sistema».

La soluzione è cambiare l’Italicum?

«La prima risposta è vincere il referendum facendo prevalere il No e per farlo bisogna anche cominciare a immaginare il dopo. L’obiettivo iniziale della legislatura era unire il Paese sulle regole e poi dividerlo su proposte concorrenti. Si è fatto il contrario, si è diviso il Paese sulle regole e si sono aboliti in principi. Il risultato è che il premier avrà una maggioranza troppo forte rispetto ai voti che raccoglierà e allo stesso tempo troppo debole perché basterà una spaccatura del suo partito a metterlo in scacco e a costringerlo a cercare intese parlamentari come già successo con Ala».

Per il dopo cosa immagina? 

«In un Paese stabilmente tripolare, in un contesto in cui i partiti non hanno più la responsabilità delle proposte elettorali perché le delegano al leader, forse il ritorno a un sistema simile al Mattarellum sarebbe la soluzione più adeguata».

Il centrodestra da dove deve ripartire? Si parla molto del modello Milano, ma Salvini ha già detto che quel modello è perdente.

«Nel centrodestra ci sono due componenti, una liberale e cristiana che tende verso il centro e una più identitaria e radicale. Queste due componenti devono esprimere una proposta più coesa possibile e stabilire regole sulle quali convivere perché è impensabile che una componente tenda a sopraffare l’altra. Io non mitizzo le primarie ma se sono un metodo possono servire allo scopo».

Va prima costruita la coalizione e poi individuato il leader o viceversa? 

«Prima vanno individuati i contenuti e va selezionata la classe dirigente. I contenuti devono essere forti e seri e non slogan e devono esprimersi con facce che sanno cos’è la politica, che si sono confrontate con il consenso, che hanno avuto incarichi di responsabilità e ne sono usciti con le mani pulite. Il leader non dovrà essere un amministratore unico ma un presidente di consiglio di amministrazione e ce ne sono tante di proposte possibili. Se partiamo dal leader significa che non abbiamo capito che cosa sta succedendo sotto i nostri occhi e proprio la parabola di Renzi ci dovrebbe convincere che non è questa la strada».

(Tratto da Il Mattino)