Per restare alla Casa Bianca Obama è persino pronto a lasciare l’Afghanistan
04 Febbraio 2012
Che il presidente Obama si fosse impegnato da candidato Democratico, nel 2008, a ritirare le truppe dall’Iraq nel suo primo mandato era purtroppo cosa nota. Ambizione e coerenza, difetti inconfondibili del progressista del terzo millennio, hanno fatto la loro parte, visto che dallo scorso Dicembre di truppe statunitensi in Iraq non ce ne sono praticamente più. Pessimo affare per gli Stati Uniti che l’Iraq lo aveva conquistato – "you break it, you own it" disse Colin Powell -, occupato (soldi spesi), rimesso in piedi con il surge (soldi spesi), oltre ai migliaia di soldati statunitensi morti.
Gli Usa se ne sono andati senza neanche negoziare un accordo decente sulla presenza americana nel paese, lasciando l’Iraq schiacciato nel conflitto tra Arabia Saudita e Iran. Due danni con una mossa sola (gli Ivy leaguers sono capaci di colpi da maestro del genere). Insomma se Barack Obama effettivamente aveva promesso un disimpegno dall’Iraq (nessuno si aspettava comunque che l’amministrazione Usa lo negoziasse così male o che addirittura non lo negoziasse affatto), il primo presidente statunitense afro-americano si era invece impegnato a fare dell’Afghanistan il proprio vero fronte nella ‘guerra al terrore’.
Come dimenticare l’Af-Pak review, McCrystal e le sue dimissioni per esser "peccato" di sincerità con il giornalista embedded del Rolling Stones; e poi l’arrivo di Petreaus con il ‘suo’ surge su modello iracheno; i migliaia di voli con droni che partivano dall’Afghanistan per andare a bombardare in Pachistan; e poi il gruppetto di Navy Seals inviato, quatto quatto, nel compound di Abbottabad (Pachistan) ad uccire il capo di Al Qaeda, Osama bin Laden. Con la morte di quest’ultimo, però, tutto è finito. Se ne aveva già sentore: come scordare le sortite del vice-presidente Usa Joe Biden, il quale a un certo punto ha iniziato a parlare di negoziazione con i talebani, di gestione afghana dell’Afghanistan, e così via.
Ucciso Bin Laden in Pachistan e scemata la carica emotiva che stava dietro l’intervento americano in Afghanistan post-11 Settembre, la Casa Bianca e il Pentagono hanno sostanzialmente deciso, anche per l’Afghanistan, di giocare la carta del ritiro: negoziare con i talebani, favorire un accordo di non belligeranza tra questi e i clan fedeli a Karzai e lasciare il paese. Le recenti dichiarazioni di Leon Panetta – il capo del Pentagono – sulla possibilità di un ritiro dall’Afghanistan già nel 2013 confermano il trend (spostarsi dal Medio Oriente per andare a investire in Asia) e danno la misura di quel che Obama sia disponibile a fare pur di riconquistare un secondo mandato alla Casa Bianca.
L’aver accennato la scelta di lasciare l’Afghanistan già dal 2013, ha scatenato un mare di critiche negli Stati Uniti, a tal punto che anche il co-frontrunner Repubblicano, Mitt Romney ha sentito la necessità di censurare i propositi. Anche in casa GOP, i malumori si sono fatti sentire. Il senatore Repubblicano, Lindsey Graham, recentemente intervistato a “On the record” sulla Fox, ha duramente attaccato l’idea di un ritiro dall’Afghanistan senza condizioni. Secondo Graham, “se stai tentando di vincere una guerra e negozi con il nemico, almeno vorrai farlo da una posizione di forza. Iniziare a portare via le forze del surge già da questo Settembre, vuol dire che il Gen. John Allen non ha la forza di portare il surge nell’Est dell’Afghanistan”. “Questa è politica locale, domestica – ha concluso Graham – che si frappone a una strategia [quella militare in Afghanistan] che considero solida”.
L’accusa che viene mossa dal GOP alla Casa Bianca è che Obama stia facendo di tutto per togliersi dal groppone anche l’Afghanistan, dopo l’Iraq, e che lo faccia per poter aggiungere qualche ‘good grade’, buon voto al magro bilancio del suo primo (e ultimo?) mandato.
Il nodo fondamentale è che la missione in Afghanistan è, purtroppo, lungi dall’esser terminata. Se significativi progressi anti-talebani sono stati fatti nel Sud del paese centro-asiatico, in particolare nelle province di Helmand, Kandahar, Oruzgane e Day Kundi, è altrettanto vero, però, che in province come quelle di Ghazni, Logar, Wardak, Paktia, e Khost rimangono zone in pieno controllo ai talebano e alla Rete Haqqani. Come hanno scritto Frederick W. Kagan e Kimeberly Kagan su ‘The Weekly Standard’ lo scorso 1 Febbraio, “il nostro lavoro in Afghanistan non è finito se queste zone franche in mano alla rete Haqqani esistono ancora dentro i confini afghani”. Alla Casa Bianca sembrano infischiarsene. La rielezione del presidente Obama è più importante. E poi c’è sempre tempo di rimangiarsi la parola qualora il presidente dovesse essere rieletto. “Politics is politics”, dopo tutto.