“Per rilanciare il Pdl Alfano deve avere mani libere, fissare regole e puntare sul merito”
30 Giugno 2011
Stesso luogo, un anno dopo. Dal ‘che fai mi cacci?’ di Fini al Cav, alla ‘svolta’: un segretario politico, nuove regole (vedi primarie), inclusione. Sono le coordinate che oggi all’Aditorium della Conciliazione Angelino Alfano declinerà davanti al Consiglio nazionale, nel giorno della sua ‘investitura’ alla guida del Pdl. Passaggio storico se solo si guarda a due anni fa, dopo il big bang del predellino. Ma il rilancio di un partito che ambisce a diventare definitivamente adulto deve avvenire attraverso passaggi precisi che Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl, individua nell’autonomia decisionale di un segretario “autorevole che usi la risorsa politica a sua disposizione per fissare finalmente delle regole e per stabilire nella continuità il passaggio dal berlusconismo di gestione al berlusconismo politico”. Un percorso obbligato per evitare la balcanizazione del Pdl.
Senatore Quagliariello, partiamo dal fondo. Come siete arrivati al Consiglio nazionale?
La segreteria Alfano è la risposta alla sconfitta al secondo turno delle amministrative che ha evidenziato la necessità di una svolta. Una scolta che riuscisse, però, a non distruggere quanto fin qui costruito e a non creare capri espiatori. È stata una risposta immediata, avvenuta due giorni dopo, all’unanimità nell’ufficio di presidenza del partito. I meccanismi statutari, tuttavia, l’hanno resa una svolta drammaticamente difficile.
Perché?
Per passare dal triumvirato al segretario unico era necessario una modifica dello statuto che solo il Consiglio nazionale, un organismo composto da più di mille persone, avrebbe potuto ratificare e c’è bisogno anche di una maggioranza draconiana: due terzi non dei presenti, ma degli aventi diritto al voto. Questa svolta, dunque, sarà legittimata dal tempo e dai numeri.
Che vuol dire?
Dal tempo, perché per convocare un’assemblea di questa ampiezza c’rra bisogno di almeno un mese di tempo, uno spazio temporale nel quale chiunque non fosse stato d’accordo avrebbe potuto organizzare delle imboscate. Dai numeri, perché chi non fosse d’accordo potrebbe puntare a non far raggiungere il quorum, giocando sugli assenti piuttosto che sull’assunzione di una posizione di ostilità aperta. Si capirà dunque il motivo per il quale, superati entrambi questi ostacoli, la legittimazione del nuovo segretario sarà fortissima ed evidenzierà, una volta di più, il radicamento del partito.
Assemblea blindata dunque? Il punto non è Alfano, nessuno si esprimerà contro. Il vero nodo è il livello immediatamente inferiore al segretario politico che secondo alcuni deve tenere conto di tutte le anime del Pdl, alias correnti. Cosa risponde?
Andiamo per ordine. Le correnti non possono essere demonizzate. Sono state un grande principio di democrazia nella prima parte del secolo scorso perché esprimevano posizioni ideali che si componevano in grandi partiti -prima di ogni altro la Dc – i quali erano tenuti insieme dalle dinamiche della guerra fredda. Poi, le tensioni ideali sono venute meno, vi è stato un processo di progressiva secolarizzazione e le correnti si sono trasformate in gruppi di potere e sono divenute una delle cause dell’esaurirsi della prima repubblica. Oggi quelle dinamiche non sono più adeguate a gestire la democrazia del pubblico, una democrazia più diretta, più centrata sull’elettore che non sugli eletti. Ed è anche per questo che se si puntasse su questo modello noi rischieremmo di avere direttamente i gruppi di potere senza essere passati dalla fase eroica delle correnti. Sono convinto che una delle scommesse della segreteria Alfano è riuscire a mettere in atto dinamiche inclusive che aggreghino una classe politica all’altezza della scommessa del grande partito dei moderati, ma questa aggregazione deve avvenire per libera convinzione e non per costrizione indotta da un articolo di statuto o da un ordine del giorno. La differenza è abissale, perché se la logica inclusiva sarà libera noi potremmo puntare a mettere insieme una risorsa che, sono convinto, il Pdl ha e altri no: la qualità della classe dirigente. Se l’aggregazione fosse indotta, noi metteremmo insieme dei gruppi di potere.
Sì ma la richiesta di una segreteria politica non è, di fatto, il tentativo di blindare l’autonomia di Alfano?
Mi sembra che il tentativo non sia riuscito ed ora Alfano potrà utilizzare la forza delle mani libere per compiere autonomamente le sue scelte nella direzione dell’inclusione. Potrà cadenzare lui i modi e i tempio di questa scelta.
Lei dunque auspica pieni poteri per Alfano? E il rischio di balcanizzazione del partito lo vede definitivamente scongiurato oppure resta ancora dietro l’angolo?
Auspico un segretario autorevole che utilizzi la risorsa politica a sua disposizione per fissare finalmente delle regole e per stabilire nella continuità il passaggio dal berlusconismo di gestione al berlusconismo politico. Questa è la strada per evitare la balcanizzazione: superare il 70 a 30, superare le dependences costruite nel giardino della casa comune, fissare all’interno regole chiare per la scelta della classe dirigente, per il rispetto di eventuali minoranze e per la valorizzazione del merito.
Lei ha parlato di selezione della classe dirigente. Le primarie servono anche a questo?
Credo che le primarie servono soprattutto a una cosa: ad istituzionalizzare il bipolarismo. Se noi vogliamo consolidare l’esperienza di grandi partiti di coalizione, anziché tornare alle coalizioni dei piccoli partiti, c’è bisogno non solo di buona volontà ma anche di regole istituzionali che rafforzino questa naturale tendenza dell’elettorato. La istituzionalizzazione delle primarie per cariche monocratiche elette a suffragio universale sono uno dei puntelli per passare dal bipolarismo spontaneo al bipolarismo delle regole. Non sono l’unico puntello e nemmeno il più importante ma se non si fa qualcosa su questa strada, si rischia che invece di una svolta verso il futuro si torni indietro. Il referendum di Passigli che vorrebbe abolire il premio di maggioranza e restaurare il proporzionale puro è in questo senso un campanello di allarme.
Non pensa che le primarie così come proposte nel suo disegno di legge siano un’innovazione a metà? Se di svolta si deve trattare perché non riguardano anche il candidato premier o addirittura i candidati alle politiche?
E’ necessario distinguere tra dimensione istituzionale e dimensione interna al partito. Il mio disegno di legge non esclude le primarie per dimensione interna al partito; anzi, crea strumenti attraverso i quali queste possono essere regolate ma non impone. Su questo aspetto credo sia giusto attendere quale sarà l’impulso che il segretario darà alla vita interna al partito, a come vorrà prospettare il superamento di quella fase di cooptazione legata inevitabilmente agli esordi di un’esperienza come quella del Pdl nella quale sono confluite storie differenti. L’argomento del disegno di legge è dunque limitato anche per un necessario rispetto nei confronti della nostra storia e delle decisioni che, sono sicuro, sin da oggi saranno annunziate nella relazione del segretario.
Che relazione programmatica si aspetta?
Una relazione di ampio respiro, dalla quale emergano anche indicazioni precise per le quali gli oltre mille delegati presenti torneranno a casa avendo le idee più chiare su come organizzare l’azione del partito.
Una delle mission di Alfano è riallacciare il dialogo coi centristi e lavorare al cantiere del partito dei moderati. Casini però pone come pregiudiziale il passo indietro di Berlusconi: se questo è, come fate a dialogare o a riprendere un cammino di prospettiva?
In questa fase bisogna essere più cocciuti di Casini. Se vogliamo costruire un grande partito fondato su pochi ma sostanziali principi non negoziabili è necessario che la contingenza venga un po’ svalutata perché gli uomini passano ma le idee restano e il nostro obiettivo deve essere quello di costruire un partito anche per la generazione che verrà dopo di noi. Sotto questo aspetto, aver scelto come segretario un quarantenne è un’indicazione ben precisa. Se saremo credibili in questo tentativo, sono convinto che anche l’Udc dovrà prendere atto che sui principi, al di là della contingenza, c’è una vicinanza che non può che vederci non solo nello stesso schieramento ma addirittura, in prospettiva, nello stesso grande partito dei moderati.
Lei è uno storico, ritiene che il ciclo di Berlusconi volga al termine? E come è possibile portare il berlusconismo oltre Berlusconi?
Credo sia fisiologico che le fasi ad un certo punto si chiudano. Penso anche che non sia questo il momento di porre al centro una simile preoccupazione perché siamo impegnati in un’azione di governo che cerca di fronteggiare una crisi epocale, di quelle che impongono addirittura una riclassificazione dei paradigmi politici. Penso anche che la domanda non sia ben posta anche per un altro motivo.
Quale?
Perché l’unico modo per costruire un dopo-Berlusconi è essere fino in fondo dentro la storia che grazie a Berlusconi è iniziata; perché quella storia ha individuato un popolo moderato che fino ad allora era abituato a turarsi il naso e subiva altre egemonie; perché tutti quelli che hanno cercato di costruire un futuro moderato per l’Italia contro Berlusconi o anche solo uscendo dal solco di quella storia, hanno dovuto costatare la loro sconfitta. Ed anche quando sono riusciti a inclinare la forza del berlusconismo, hanno dovuto costatare che ad approfittarne non sono stati loro o altri moderati, quanto piuttosto i nostri avversari politici.
Che effetto le fa tornare un anno dopo nello stesso luogo del ‘che fai mi cacci?’ che sancì la rottura tra Fini e il Cav.?
E’ il segno di una storia che continua, una storia che certamente quel giorno ha subìto uno choc ma non tale da annichilirla. Anche su quella vicenda si fonda oggi, nello stesso luogo, una svolta che potrebbe fare del Pdl un partito definitivamente adulto.