Per rilanciarsi l’Italia deve accettare la sfida della ricerca aperta
21 Aprile 2012
La ricerca scientifica per essere efficace deve essere condivisa e facilmente dibattibile con altri esperti. Scomodando Karl Popper, la ricerca fiorisce in una società aperta, in cui le idee sono dibattibili senza preconcetti e facilmente condivisibili. In un mondo in cui, quasi ovunque – a parte i concorsi accademici in Italia -, si misura l’efficacia della ricerca tramite parametri più oggettivi possibile come le peer reviews e pubblicazioni, l’idea di ricerca aperta è fondamentale per massimizzare l’impatto di ogni euro investito.
In un mondo pre-globalizzato, in assenza sia di internet che di una lingua comune della ricerca come oggi l’inglese, per divulgare la proprie teorie e discuterne con esperti esistevano solamente due modi: pubblicare libri e fare visite di persona ai luminari vari sperando di riuscire a parlare una lingua comune. Il risultato era la creazione di vere e proprie barriere all’ingresso del mercato della ricerca, a meno di non essere degli insiders ed avere la fortuna essere già in uno degli hub di ricerca, ben protetti dai ricercatori esterni.
Ora, in un mondo globalizzato c’è un ambito che ancora oggi presenta grandi ostacoli nell’ottica dello sviluppo di una ricerca aperta ed è il mercato delle pubblicazioni scientifiche. A oggi queste pubblicazioni godono di un potere quasi oligopolistico. Il prestigio di esservi pubblicato è tale da giustificare non solamente prezzi elevatissimi per i sottoscrittori (che si traducono in margini di profittabilità fantastici per le società che le pubblicano, che hanno profitti pari al 36% dei ricavi, bene o male 3 volte quelli del settore petrolifero, che è considerato nella vulgata uno dei maggiori profittatori al mondo) ma soprattutto preclude completamente la messa a disposizione di queste ricerche ad un pubblico non pagante.
Il risultato è una limitazione sostanziale dell’impatto di queste ricerche. Dato che la ricerca in questione è molto spesso finanziata con soldi pubblici (e spesso realizzata e formalizzata pro-bono), e che tentativi soft di incentivare la distribuzione di questa ricerca non hanno avuto i risultati sperati, il sistema si sta riadattando, portando alla luce soluzioni drastiche.
I ricercatori finanziati dal Wellcome Trust, la più grossa fondazione inglese che investe 600 milioni di sterline l’anno in ricerca scientifica, che fino ad adesso riuscivano a non rispettare l’obbligo di rendere la ricerca accessibile dopo 6 mesi con gli stessi metodi utilizzati dalla pubblica amministrazione italiana per non tagliare le auto blu, cioè semplicemente ignorando le richieste, ora si vedranno i successivi finanziamenti bloccati in assenza di prove esplicite di condivisione.
Quel che è importante notare è che il Trust ha lanciato una rivista on-line, in tandem con la Max Planck Society e l’Howard Hughes Medical Institute, per condividere gratis tutta la ricerca sovvenzionata eludendo così gran parte delle barriere delle pubblicazioni scientifiche formulate in sede accademica.
Il risultato che evidentemente queste fondazioni intendono raggiungere, non è tanto la fine delle pubblicazioni a pagamento, quanto una spinta, un incentivo alle imprese che operano in questo settore, a giustificare i propri margini generando vero valore aggiunto per i ricercatori da una parte e i lettori dall’altra. Si tratta, mutatis mutandis, della stessa sfida che affronta il mondo della carta stampata rispetto al vasto mondo di internet. E’ una sfida che certamente vedrà dei vincitori (i clienti e le aziende più brave ad innovare) e dei vinti (le aziende che ignoreranno la sfida che hanno di fronte a sé).