Per risollevarsi i Repubblicani devono puntare su una nuova leadership
01 Aprile 2010
E’ un’ora buia per l’America repubblicana, il Congresso vota la riforma sanitaria, riveduta e corretta del Presidente Obama, infischiandosene degli inequivocabili segnali politici e sociali di avversione ad una legge che rischia di modificare strutturalmente il sistema economico-politico degli Stati Uniti rendendolo maledettamente simile a quello della vecchia e decadente Europa. Da sempre impegnati contro una simile eventualità, l’elettorato, il partito e i leader del GOP si interrogano sulle ragioni di una sconfitta storica ma, al di là del pur vitale ed importante movimentismo nato attorno ai Tea Parties (le reunion libertarie che si ispirano ai valori dei padri costituenti), l’"Elefantino" mostra una classe dirigente di prima fascia che, pur nell’evidente recupero di consenso politico e nonostante il disincanto nei confronti del “Change” obamiano, fatica a regalare una prospettiva, una visione ed un’idea di rilancio del partito e degli Usa.
Così nella seconda fascia della sua classe dirigente monta la voglia di bruciare le tappe e di presentarsi all’appuntamento delle primarie per il 2012 con le carte in regola. Tim Pawlenty, quarantonevenne due volte Governatore del Minnesota, uno swing state, ha già scelto: non si ripresenterà per difendere la carica. Pawlenty gode di un indice di gradimento oltre il 50% nello Stato che amministra, ma alcune proiezioni lo danno con un dato di gradimento nazionale al 38% all’interno della base del partito. L’idea di Pawlenty, da qualcuno ribattezzato l’Obama bianco repubblicano, è chiara: puntare alla poltrona di sfidante dell’inquilino di Pennsylvania Avenue.
Ma Pawlenty sa bene che dalla nebbia parolaia obamiana si esce soltanto tornando alle radici dell’Unione, al patto costituzionale fondato sul rispetto della vita e della libertà, e rilanciando il valore della tutela federale del diritto di ciascuno a costruirsi il futuro con le proprie mani. E’ una ricetta popolare proprio all’interno dei Tea Parties, ma non solo. La componente libertarian del GOP infatti, è quella rimasta più a bocca asciutta negli anni del secondo mandato di G.W Bush. In quell’occasione, il Presidente pagò una cambiale salata alla Christian Coalition e agli errori tattici di quella spinta neoconservatrice che ha finito per sovraesporre gli States nella lotta globale all’islamofascismo.
L’abboffata di "Big Government e tax and spending a go go" propugnata dal nuovo inquilino della Casa Bianca soffia con il vento in poppa e ciò nonostante il tentativo del mainstream mediatico di appioppare ai freemarketeers le responsabilità del Credit Crunch e della Crisi economica. Ma l’opzione libertarian di Pawlenty ha una sua profonda ratio politica. Da una parte i libertari possono essere considerati, a ragion veduta, una forza antitetica a qualsiasi "avventurismo" militare (ed in questo quindi rassicuranti quasi quanto Barack Obama); dall’altra, sono gli unici ad avere una ricetta contro il deficit e l’esplosione del debito.
Fino ad ora, il leader di riferimento di questa corrente è stato riconosciuto in Ron Paul, il senatore del Texas, già avanti negli anni, che sponsorizza una riedizione neanche troppo convincente della "dottrina Monroe". Per Pawlenty invece richiamare in patria i Marines in giro per il mondo e il taglio drastico della spesa militare non sono la priorità. Lo sono piuttosto il taglio indiscriminato dei costi federali, la riduzione progressiava delle spese e delle tasse sino alla devoluzione ai privati di quanto possibile. Un’esperienza che, sotto questo profilo, nel suo Governo del Minnesota ha prodotto numeri molto interessanti.
L’astro di Tim Pawlenty ha cominciato a brillare allorché ha avuto il coraggio di sostenere che il GOP ha cominciato a perdere quando ha smesso di governare il Paese. "Le proposte economiche in politica sono qualcosa che decide un’elezione" ha detto Pawlenty in una recente intervista in cui sottolineava inoltre come, nel 2006 e nel 2008, "l’elettorato ha detto ai repubblicani ‘preferiamo le ricette dei vostri competitors’". Se da una parte è innegabile l’impatto sull’immagine del partito degli scandali richiamati da Pawlenty, se è innegabile anche la freschezza dell’immagine e della passione che Pawlenty comunica ad una parte dell’elettorato, resta un problema di fondo – per lui come per Mitt Romney, Sarah Palin e Mike Huckabee. E’ difficile immaginare il decollo della nuova leadership senza il contributo di una larga parte della base repubblicana che ancora si sente orfana di G.W. Bush. Un paradosso che sino a che non verrà sciolto rischia di minare le fondamenta di un’autentica ricostruzione del GOP.