Per salvare i due marò il governo faccia valere il principio di sovranità nazionale
07 Marzo 2012
Risultato entusiasmante della diplomazia italiana. I due marò prigionieri in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, non mangeranno, come gli altri detenuti, riso al curry, ma spaghetti. Di più i nostri governanti sembra non siano riusciti ad ottenere dalle autorità del Kerala per le quali i fucilieri arrestati in acque internazionali, e dunque non soggetti ad altra giurisdizione se non a quella italiana, sono degli assassini, responsabili degli omicidi di due pescatori indiani. Ovviamente le imputazioni sono tutte da dimostrare e nulla fa propendere per una loro colpevolezza certa, assoluta, più che provata.
Purtroppo, in questa triste vicenda, il governo italiano finora non è stato capace di incidere come ci si attendeva e, per di più, si è dimostrato restio nel pretendere la collaborazione dell’Ue coinvolgendo, non soltanto formalmente, ma sostanzialmente, la signora Catherine Ashton, alto commissario per la sicurezza e la difesa europea, al fine di ottenere il rilascio dei due militari, minacciando, se del caso, conseguenze politiche, diplomatiche ed economiche nei confronti dell’India. Il massimo, purtroppo, che finora è riuscito a fare il ministro degli Esteri Giulio Terzi, è stato di andare a Delhi e stringere la mano al suo collega, senza strappargli neppure uno straccio di impegno sulla sorte dei malcapitati. Che senso ha avuto la sua missione?
È la domanda che da giorni ci facciamo tutti quanti, increduli e inquieti per come sta evolvendo la situazione. Dal fermo di polizia si è passati all’arresto. Di processo non si parla. Sicuramente in cella i due maró dovranno restarci almeno due settimane: che cosa sarà di loro? E, soprattutto, fino a quando l’Italia, incapace ottenere ascolto nelle cancellerie europee ed occidentali, riuscirà a gestire da sola una crisi come quella che si è determinata?
La “massima cautela” alla quale sembra improntata l’azione del ministro Terzi, finora non ha dato i frutti sperati. È, dunque, tempo che si cambi strategia ristabilendo nella dinamica politico-diplomatica il valore di un concetto che sembrava non doversi portare più ed invece di tanto in tanto riemerge con forza: il principio di sovranità, estraneo alla nostra diplomazia che, con tutta evidenza, e non soltanto nella presente occasione, sembra averlo dimenticato.
La sovranità non necessita accettazioni preventive. Essa s’impone da sola. E quando si registra, come in questo deprecabile caso, il rifiuto della controparte a riconoscerla, si interviene con tutti i mezzi per costringere i riluttanti a trattare con il dovuto rispetto un Paese che in tema di diritti umani non è certamente secondo all’India la cui economia potrà anche essere più forte ed aggressiva, ma soltanto perché i suoi standard produttivi sono ancora ad uno stadio primitivo per ciò che concerne la tutela dei lavoratori e le loro legittime aspettative.
Se i giudici del tribunale di Kochi non si fanno intimidire dalle intemerate di Staffan De Mistura, il sottosegretario che negozia in loco, né dalle sfuriate telefoniche del segretario generale della Farnesina, è perché si sentono protetti dall’indifferenza internazionale che le autorità italiane non riescono a scuotere. Mai silenzio fu più assordante, infatti, trattandosi della sorte di due militari di un Paese impegnato in numerose operazioni di pace in mezzo mondo e che negli ultimi anni ha pagato un alto tributo di sangue al ristabilimento ed al mantenimento dell’ordine in numerosi teatri di guerra.
Lo stesso impegno dei due marò era volto a proteggere dall’assalto dei pirati il mercantile che scortavano. Ma agli indiani di tutto questo interessa poco o niente. Per loro Latorre e Girone devono essere tenuti, privati del diritto alla difesa, giudicati ed ormai già condannati, come vorrebbe la stampa locale che ha già emesso il verdetto, per la morte di due pescatori. La loro parola contro quella degli illuminati giudici e politici del Kerala, oltre che dell’opinione pubblica ammaestrata alla scuola dell’odio anti-occidentale.
L’Italia non può piegarsi alla barbarie. Deve pretendere che la questione giudiziaria diventi una questione politica che afferisce alla lesione della sovranità di una nazione. Per questo motivo deve coinvolgere tutti gli organismi internazionali possibili e pretendere da essi l’intervento sull’India al fine della positiva conclusione della triste vicenda.
I due militari – non dimentichiamolo – rischiano la pena di morte. Non è un delitto ipotizzare che in qualche modo dobbiamo andarceli a prendere. E senza perdere altro tempo stringendo mani che potrebbero tra non molto tingersi del sangue di due nostri connazionali in divisa.