Per salvare la scuola come istituzione bisogna ripartire dai rapporti umani

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Per salvare la scuola come istituzione bisogna ripartire dai rapporti umani

Della riforma della scuola s’è sentito parlare anche troppo. Come sempre tutti parlano, anche senza saperne nulla o senza alcuna competenza specifica. Spesso poi si è molto lontani dalla verità e vengono diffusi fatti che non esistono o, ancora peggio, vengono create teorie partendo da presupposti inesistenti. Basta pensare che circolano già manuali destinati a genitori inesperti per aiutarli a farsi un’idea su come scegliere la “scuola ideale” per i loro figli. In realtà però l’impresa è molto più complessa di quanto sembri, anche perché fra gli addetti ai lavori c’è chi ha ancora meno conoscenza su cosa sia una scuola e soprattutto di cosa accada nella scuola.

Colpiscono alcuni articoli in cui si parla della nuova formazione degli insegnanti, ma ancora di più stupisce l’idea che emerge. C’è degrado nella scuola poiché nei docenti scarseggia la competenza. Quindi tutti a studiare, basta con psicologia e pedagogia! In nessun’altra professione come quella dell’insegnamento la formazione viene discussa in tutto e da tutti. Solo nell’ambito della scuola si pensa alla formazione reclutando i formatori in ordini diversi che spesso non conoscono neppure le difficoltà specifiche relative a quel tipo di insegnamento e all’età degli alunni. Finora gli insegnanti, oltre ad avere una laurea – più specializzazioni o abilitazioni varie, aver vinto concorsi, essere di ruolo, e così via –, per anni hanno dovuto seguire anche molti corsi di formazione obbligatori sulle diverse discipline, principalmente nella scuola elementare. L’aggiornamento era necessario, anche perché alcuni insegnanti non avevano neanche la laurea. Tutto questo ha comportato uno spreco enorme di risorse economiche e umane senza aggiungere nulla alla competenza docente. Non è per caso che secondo le statistiche emerge un’alta percentuale di abbandono scolastico nella scuola dell’obbligo, un aumento esponenziale dell’impoverimento culturale dei ragazzi, ma soprattutto un aumento della violenza nelle classi. Forse nella formazione qualcosa non ha funzionato.

Mai come in questi anni la scuola primaria e quella secondaria inferiore e superiore sono state tanto protagoniste nelle pagine della cronaca. In tutti gli episodi accaduti – bullismo tra ragazzi, aggressività tra docenti e alunni, violenza tra genitori e insegnanti – si evidenziano difficoltà che non sono imputabili alla competenza disciplinare dell’insegnante, bensì ad altre competenze che non sono considerate bagaglio indispensabile di un docente. Questo non vuol dire che la competenza nella disciplina non è importante, ma è pur vero che, a differenza di quanto pensano alcuni addetti ai lavori, non può non essere accompagnata da una competenza relazionale. E’ proprio per questa ragione che è importante non scindere le diverse competenze. Un docente deve essere competente nei contenuti della sua disciplina, ma deve anche avere una competenza emotiva e relazionale che gli permetta di avere l’autorevolezza attraverso la quale darà senso e specificità al proprio sapere e riuscirà a entusiasmare i suoi alunni. Competenze come quella socio-affettiva, relazionale, di ascolto ed empatica, non fanno parte solo di un buon carattere o del buon senso: sono abilità che si acquisiscono col tempo.

La capacità di lavorare in una classe dove c’è un bullo o dove ci sono episodi di discriminazione o di eccessiva competitività non è data dal sapere e insegnare bene la materia (che tra l’altro non si riesce nemmeno a insegnare in un clima compromesso). Trovare la didattica giusta per tutti i ragazzi che risponda ai diversi stili di apprendimento, non si ottiene solo con la formazione sulla materia che si insegna, ma si acquisisce attraverso una formazione psicopedagogica, che permette all’insegnante di applicare strategie mirate a fornire ai ragazzi competenze relazionali, consapevolezze emotive, metodi di studio, capacità di pianificare il lavoro, possibilità di capire il proprio stile di apprendimento. Queste competenze sono trasversali a qualunque tipo di insegnamento. Questo non significa che bisogna abdicare alla competenza disciplinare. Ritengo che la funzione docente è molto più articolata e complessa perché deve rispondere a un’utenza variegata e multiculturale, dove i rapporti sono difficili sia tra i ragazzi che tra le famiglie e i docenti.

I genitori spesso sono assenti e deleganti, ma allo stesso tempo invadenti e ingerenti, specialmente quando diventano gli avvocati dei propri figli. Infatti a volte gli insegnanti si ritrovano a doversi difendere da genitori iperprotettivi, che giustificano a oltranza i propri figli forse per sopperire al senso di colpa dell’assenza. Ed è anche per far fronte a queste situazioni che dovrebbero essere benvenute iniziative che privilegino una preparazione pedagogica, di counseling, di aiuto alla persona, che mettano l’insegnante nella condizione di saper aiutare i suoi alunni, le famiglie e se stesso.