Per salvare l’Iraq bisogna assicurare la sopravvivenza dei cristiani
12 Novembre 2010
Il prossimo martedì 16 novembre si svolgerà la maratona organizzata da Italia Protagonista in sostegno dei cristiani oppressi nel mondo nell’Auditorium della Basilica di Santa Maria degli Angeli (Piazza della Repubblica – Roma). Dalle 21.00 alle 01.00 del giorno dopo, testimonianze, ricordi, filmati e preghiere per confermare la nostra vicinanza e sostenere le ragioni della pace e della misericordia tra popoli.
Ogni giorno il numero di vittime delle persecuzioni dei cristiani in Iraq cresce imperterrito davanti agli occhi della comunità internazionale. Al massacro dello scorso 31 ottobre nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad – nella quale il braccio iracheno di al Qaeda ha ucciso 58 fedeli, tra cui due giovani sacerdoti, e ha ferito un altro centinaio – si è aggiunta l’uccisione, due giorni fa, di altre 13 persone e il ferimento di 26 in una serie di agguati dinamitardi contro le case dei cristiani nella capitale e in altre regioni del paese.
In un clima politico che sembra iniziare a ricomporsi dopo uno stallo di oltre 8 mesi, le vittime dell’odio anticristiano non vedono altra uscita se non quella dell’emigrazione di massa verso stati più tolleranti nei confronti di altre religioni, come la Siria, la Giordania e la Turchia. E’ in Iraq, infatti, che la minaccia di Al Qaeda di mettere nel mirino i cristiani e le chiese del Medio Oriente si sta concretizzando senza alcuna pietà e sta diffondendo il terrore tra i fedeli non musulmani che non si sentono più sicuri neanche nella propria patria.
La situazione, poi, peggiora di giorno in giorno. Se nel 1987 la popolazione cristiana irachena raggiungeva il milione e mezzo di persone, oggi se ne contano appena 200mila. E’ col rovesciamento del regime di Saddam Hussein e l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, che inizia la prima grande emigrazione di cristiani dell’era moderna con l’aggravarsi delle persecuzioni di cristiani. Sette delle 14 chiese di Baghdad vennero chiuse e la violenza contro i fedeli iniziò a espandersi in ogni angolo del paese: nel 2004 venne compiuto un attacco coordinato contro 5 chiese della capitale e di Mosul, a nordovest, che si lasciò dietro numerose vittime; nel giugno 2007 un giovane prete venne sparato a bruciapelo in chiesa solo per essersi rifiutato d’interrompere la messa e 9 mesi dopo un arcivescovo fece la stessa fine; poi, nel 2008 una serie di attentati hanno fatto scappare oltre la metà dei fedeli cristiani della città di Mosul.
Gli inviti e le rassicurazioni del premier al-Maliki non sembrano bastare. La comunità cristiana infatti teme “d’essere spazzata via come lo sono stati gli ebrei prima”, come ha scritto di recente il Christian Science Monitor. Ma i movimenti estremisti, sia sciiti che sunniti, non sono gli unici responsabili di queste tragedie perché il governo di Baghdad si è mostrato incapace di proteggere le sue minoranze dagli attacchi. Lo stesso Papa Benedetto XVI ha lanciato un appello al governo iracheno affinché “venga data priorità alla sicurezza e alla protezione delle minoranze”. Per di più, e malgrado sia uno dei principali punti di tensione politica, il nodo delle contraddizioni della carta costituzionale irachena approvata nel 2005 non è stato ancora risolto: essa sostiene infatti la libertà di pratica religiosa, definendola un diritto umano inalienabile, ma dall’altro eleva la Sharia islamica a principio fondamentale di diritto e di governo.
Nonostante i cristiani iracheni sentano che il loro governo abbia loro voltato le spalle e riconoscano d’aver perso la fiducia nel proprio futuro, essa è stata la prima comunità a sollevarsi per la difesa della vita e a opporsi alla pena di morte inflitta di recente a Tariq Aziz, ex vice-primo ministro e consigliere di Saddam accusato tra l’altro di uccisioni di massa, di crimini contro l’umanità, la deportazione dei curdi dal nord Iraq e la persecuzione della comunità sciita.
“Prendere a bersaglio le minoranze, cristiani iracheni inclusi – scrive Tariq Alhomayed in un editoriale del quotidiano Al Sharq Al Awsat con base a Londra – significa la disintegrazione dell’Iraq, e uno sbriciolamento del suo tessuto culturale e politico. Dobbiamo essere sicuri che le minoranze non siano tagliate fuori su basi settarie o etniche perché questo aprirebbe le porte dell’inferno”, spiega l’analista musulmano. Per l’arcivescovo Jean Sleiman, inoltre, la comunità cristiana è essenziale per il futuro del Paese: “La loro presenza è fortemente necessaria: i cristiani costruiscono la pace anche solo con la loro presenza. E’ noto a tutti lo spirito di solidarietà che diffondono e la capacità di creare ponti tra le diverse comunità”. Per questo, aggiunge il prelato, “è urgente che la loro sopravvivenza venga assicurata”. In gioco, infatti, è la speranza nel domani di un popolo intero alla ricerca di un futuro.