Per sfuggire agli amori part-time guardiamo “American Life”

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Per sfuggire agli amori part-time guardiamo “American Life”

16 Gennaio 2011

Tutti sanno che la vecchia e solida e anche un po’ tetragona famiglia di una volta sta cedendo il passo a nuove e diverse forme di convivenza, mentre aumenta il numero di single, quello delle separazioni e dei divorzi. I tempi cambiano ma a leggere la recensione di Vivere insieme su La Stampa di giovedì scorso – un libro scritto da Alessandra Salerno, docente di "Teoria e Tecniche delle dinamiche familiari e di coppia" all’Università di Palermo – si ha come l’impressione di essere rimasti indietro sull’evoluzione dell’antica parola coniuge.

Scossi da una valanga di neologismi anglosassoni scopriamo che all’incirca un milione e mezzo di italiani opta per forme di convivenza dalle sigle tanto misteriose quanto seccanti: i "Childfree" (138mila coppie), i "LAT"- Living Apart Together" (600mila coppie) e i "Dink"- Double Income Kids (altre 600.000), rispettivamente: quelli che "Non ce l’abbiamo con i bambini, però un cane è meglio", quelli che "Trent’anni di amore e non abbiamo mai vissuto insieme", e chi "Il doppio stipendio è tutto, offre
sicurezza, amici, viaggi e libertà".

Questa rassegna di piccoli e grandi menefreghismi continua con altre forme di unione post-fordista: "Coppia del weekend, a coazione intermittente, a convivenza alternata, con doppia residenza, amore pendolare, amore a distanza, amore part time".  L’assioma di fondo è che "il matrimonio è diventato più fragile perché ormai si basa solo sul sentimento", mentre in passato sì che poggiava su pilastri indistruttibili: "La fuga dalla famiglia d’origine, la rispettabilità sociale, i figli, la stabilità economica". Come a dire che nei decenni scorsi non ci si sposava mai per amore, ma solo per convenienza o per seguire qualche stereotipo – magari religioso, ma fin qui la professoressa non si spinge.

Ora, visto che si fa un grande sfoggio di definizioni americane, ci siamo chiesti se ultimamente, a cinema – cioè nel luogo in cui per primi appaiono i nuovi trend sociali – avessimo per caso visto qualche film che rappresentasse degnamente i nuovi amori in bilico, in pegno, da flebo. E ci sono venuti in mente Burt e Verona, la ridente coppia di trentenni protagonista di "American Life".

Ebbene, Verona aspetta un bambino e Burt le chiede di sposarlo. Lei risponde sempre di no ma i due si vede lontano un miglio che si amano da morire. Girano l’America per settimane in cerca di un posto dove andare a vivere, insieme, e nella loro odissea (Verona è al sesto mese) incontrano effettivamente coppie in frantumi: o perché del tutto fallimentari e anaffettive, o perché afflitte dalla sindrome di Woodstock, o perché, tragicamente, dei figli li vorrebbero ma di traverso ci si mettono gli
aborti spontanei (c’è posto per tante adozioni, però).

Burt e Verona, invece, e a modo loro, vogliono una famiglia tradizionale. Tanto sana e piena di affetti e di memorie e di legami che alla fine del loro girare scelgono di andare a vivere proprio nella casa dei genitori di Verona, una vecchia casa abbandonata dopo che i suoi erano morti. Davanti alla vischiosità liquida delle nuove convivenze, decidono di ripartire dalla propria identità. Chi eravamo, chi siamo. Chi è la bambina che sta per nascere. Certe volte un film può insegnarti molto più di un esame di "Teoria e Tecniche delle dinamiche familiari e di coppia".