Per tentare la scalata al centrosinistra Vendola taglia fuori i moderati

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Per tentare la scalata al centrosinistra Vendola taglia fuori i moderati

16 Dicembre 2010

Il 14 dicembre Nichi Vendola era a Montecitorio. Una presenza apparentemente ingiustificata, visto che non ha incarichi parlamentari e non aveva neppure questioni pugliesi dirimenti da sbrigare a Roma. Eppure, era lì.

Forse nella speranza – poi trasformatasi in realtà – di cogliere la palla al balzo per ricordare agli italiani di centrosinistra che lui c’è ed è pronto a sopperire a tutte le mancanze del Partito democratico. Quale migliore occasione per farlo del giorno in cui il Pd sarebbe andato a braccetto con l’Udc e persino con i finiani, pur di provare a disarcionare Berlusconi.

Insomma, forse non è così azzardato ipotizzare che la presenza a Montecitorio del governatore pugliese, in un giorno così cruciale per la politica italiana, non fosse affatto casuale. Come recita il detto andreottiano, a parlar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Specialmente quando, come in questo caso, sono numerose le coincidenze che avvalorano l’ipotesi.

Colpisce innanzitutto il tempismo con cui, esattamente qualche attimo prima che Fini proclamasse il risultato del voto di fiducia, Vendola si è affrettato a dichiararsi pronto a presentare la sua candidatura come leader del centrosinistra. Non sarebbe una notizia, se solo queste parole non le avesse pronunciate nel momento esatto in cui si andava concretizzando l’ennesima sconfitta per il Partito democratico.

Del resto la strategia del Pd – fortemente contestata da Vendola – sembra essere principalmente quella di allearsi con chiunque abbia per obiettivo quello di mandare a casa Berlusconi. Che l’alleato sia Di Pietro, Rutelli, Casini o Fini non fa molta differenza: la filosofia è quella secondo cui il fine giustifica i mezzi. E nel giorno del fallimento di questa strategia, guarda caso, Nichi era lì, pronto ad affondare il coltello nella ferita. Il colpo finale lo assesta nella giornata successiva, quando senza troppi giri di parole dichiara ai giornalisti: "Ora basta con le acrobazie alleanzistiche, con le furbizie e le reticenze. I professionisti della sconfitta facciano un passo indietro". Il j’accuse nei confronti dei dirigenti del Pd non potrebbe essere più evidente.

Probabilmente il voto di fiducia era l’occasione che Vendola aspettava per mettere l’elettorato di centrosinistra di fronte all’evidenza: o si trova un’alternativa o così le cose non vanno. E l’alternativa sarebbe un’alleanza tutta orientata a sinistra, che vedrebbe insieme il Partito democratico, Sinistra e Libertà e  l’Italia dei Valori. Un disegno che, di fatto, taglierebbe fuori l’ala moderata, tanto più che difficilmente quest’ultima potrebbe convivere con la componente comunista e giacobina.

Il successo di Vendola, acclamato da molti come l’uomo in grado di salvare il centrosinistra da se stesso e di riportarlo alla guida del Paese, rappresenta perciò un campanello d’allarme per chi immagina un Pd di stampo socialdemocratico. Eppure, di fronte alle tante – troppe – sconfitte incassate finora dal centrosinistra, questa ipotesi potrebbe accreditarsi sempre di più fino a diventare realtà.

D’altra parte, che i moderati avrebbero poco spazio nel disegno di Vendola lo si intuisce da diversi fattori. Primo fra tutti la storia personale del governatore pugliese, che già nel 1972 si iscrive alla Federazione dei Giovani Comunisti, nel 1990 entra a far parte del Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano e, successivamente, è tra i fondatori del Partito della Rifondazione Comunista, nel quale milita fino al 2009, anno in cui dà vita al Movimento per la Sinistra. Ma lo si intuisce anche, nel presente, dalla particolare vicinanza di Vendola a settori della politica, della società e del mondo sindacale tutt’altro che moderati. Solo per citare un esempio, si potrebbe ricordare lo stretto legame con la Fiom-Cgil, tenuto saldo anche quando, in occasione degli accordi di Pomigliano con la Fiat, lo stesso Pd aveva ragionevolmente ritenuto opportuno schierarsi a favore della trattativa.

Quindi, se Nichi rappresenta il futuro del centrosinistra – ipotesi per nulla priva di fondamento e da molti auspicata – è piuttosto evidente che la connotazione comunista, accantonata almeno di facciata, tornerebbe ad essere prevalente. Per sapere cosa comporterebbe questo slittamento a sinistra non serve molto intuito, basta conoscere la storia.