Per tornare a vincere il Pdl ritrovi lo spirito ‘meno Stato meno tasse’ del ’94

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Per tornare a vincere il Pdl ritrovi lo spirito ‘meno Stato meno tasse’ del ’94

09 Maggio 2012

Nonostante la smorfietta di disgusto con cui, qualche giorno fa, Giorgio Napolitano ha pronunciato la parola “demagogia” a proposito di Grillo e del suo movimento, questi ultimi hanno dimostrato una vitalità ben maggiore di quella che ancora residua nel corpaccione dei partiti che hanno occupato la scena politica negli ultimi due decenni. Diversamente da quanto i vari leader sostengono, però, la colpa della debacle non è tutta di Monti e del suo Governo.

Certo, farsi riprendere in grisaglia intenti a recepire le proposte liberticide di un governo di nominati caratterizzato da un’attitudine monomaniacale alla imposizione di gabelle e da una cronica incapacità di negoziare con l’Europa qualcosa di diverso da una resa incondizionata, non aiuta ad accrescere la propria popolarità. Epperò, il destro al montaggio delle forche caudine sul Colle più importante l’ha fornito proprio quella parte del mondo politico che oggi si lamenta della dolorosa necessità di sostenere l’insostenibile e del prezzo che ne deriva in termini di consenso. 

La palude d’ingovernabilità in cui il Paese era caduto e che era andata via via aggravandosi fino agli eventi dell’Autunno scorso, non è derivata, infatti, da un imprevedibile salto quantico, ma dalla assurda spirale di delegittimazione reciproca in cui i partiti erano caduti. Del resto, la speculazione internazionale non scruta il mondo alla ricerca di nazioni in cui le dinamiche del confronto interno siano pacate e funzionali, ma tende notoriamente a privilegiare le situazioni ad alta densità di clava.

Sia come sia, le recenti elezioni hanno chiarito cosa rischia di diventare il Pdl post Berlusconi se non verranno prese misure adeguate. Dopo due decenni di continui (e purtroppo necessari) compromessi, del messaggio libertario iniziale (meno Stato, meno tasse) si è completamente persa traccia. Al suo posto, l’infinita tristezza di proposte come quella del piano casa (inatteso omaggio al centrosinistra fanfaniano), con cui il centrodestra si presentò alle elezioni del 2008. Su simili basi, difficilmente il Pdl potrà intercettare i fremiti antistatalisti che oggi, in misura ben maggiore rispetto a vent’anni fa, attraversano la società civile di questo disperato Paese.

A leggerli sui vari blog, è evidente che gli attuali e numerosi (e spesso ignari) orfani del ’94 disdegnano apertamente la creatura berlusconiana che considerano una specie di covo di democristiani e socialisti impenitenti (ed a giudicare dagli ultimi provvedimenti del precedente governo e dai balletti di molti dei dirigenti del PdL è parecchio difficile dare loro torto).

Sarebbe un grosso peccato tagliare definitivamente i ponti con le istanze che quegli internauti sostengono, se non altro perché, richiamate alla dura realtà dal fallimento del “welfare state” così come è stato sinora conosciuto, le nuove generazioni finiranno necessariamente con il prediligere modelli di società alternativi agli attuali, in cui le relazioni tra individui saranno scarsamente intermediate dai pachidermi del settore pubblico e la solidarietà e l’iniziativa private troveranno spazi sempre maggiori.

Per quanto persona indubbiamente seria, l’attuale segretario del Popolo delle Libertà non pare il profilo più adatto a porsi come interlocutore privilegiato nei confronti dell’arcipelago dei libertari. Il Pdl, però, allinea tra le sue fila quello che è considerato da questi ultimi un autentico campione: Antonio Martino. Nel tempo, egli è stato decisamente accantonato in nome della discesa a patti con le forze dell’alleanza di centrodestra, ma è assolutamente fuori discussione (a parere di chi scrive, ovviamente) che il suo sia il pensiero più vitale (e interessante) che oggi il partito produca.

E’ proprio dalla valorizzazione del punto di vista del professore di Messina che il Pdl dovrebbe ripartire per tornare a proporsi come forza autenticamente liberale (e dismettere gli odiosi e sinistri panni di Partito dei Lavoratori che adesso si trova cuciti addosso).

Certo, puntare al governo della Nazione significa tenere conto di innumerevoli altre istanze provenienti dalle mille stratificazioni di cui l’area del centrodestra si compone. Ma rinunciare a priori ad una identità chiara (e, utilizzando una accezione oramai consunta, dinamica) per continuare a dare vita ad un indifferenziato difficilmente decifrabile, in cui, senza più un leader riconoscibile come Berlusconi, vecchi arnesi democristiani convivono (malamente, a causa del richiamo della foresta centrista) con meno attempati e ben più simpatici ex aennini e con gli ultimi tedofori del Psi craxiano esclude a priori la possibilità di stare a lungo sul mercato.

Se poi l’obiettivo strategico del Pdl sarà unicamente quello di convergere con Casini, Cesa, Buttiglione e gli altri eredi di un’Italia che non vorremmo più rivedere verso le praterie depresse dell’italico moderatismo, allora possiamo stare certi che pure questa parte politica sarà destinata a fare la fine del centrosinistra bersaniano: polverizzata nella nuvola internettiana creata dalla rabbia di un nuovo venditore di sogni alla Grillo.

Il momento è difficile e le scelte da fare dure, ma se vogliamo che lo spirito del ’94, come da più parti si auspica, torni a correre allegro su e giù per la Penisola, non possiamo perdere altro tempo.