Per trasformare i progetti in azioni reali serve l’intervento dei privati

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Per trasformare i progetti in azioni reali serve l’intervento dei privati

13 Giugno 2008

 Il tema della casa, già toccato dal nuovo governo con l’intervento sull’ICI prima casa, non è che l’inizio di una strategia alquanto ambiziosa.

Una strategia che, come promesso in campagna elettorale, non si limita a detassare gli immobili residenziali, ma porta avanti l’idea di un grande piano per l’edilizia popolare: un tetto per tutti.

Più in dettaglio, il programma prevede un intervento drastico per recuperare tessuti urbani già esistenti ma degradati: demolizione e ricostruzione la formula di riconoscimento. Come procedere? A quali strumenti ricorrere? Sui giornali si è letto di una “legge obiettivo”. E di una ripresa dell’ex “piano IACP”. E, ancora, si è scritto di un fondo rotativo (un accantonamento) per finanziare l’edilizia popolare.

Probabilmente tutti questi elementi sono corretti – e d’altronde l’uno non esclude gli altri.

Ma, citandoli troppo enfaticamente, si dimentica che il perno del maxi piano di edilizia popolare sono i privati. Infatti, viste le scarse risorse finanziarie, il miglioramento qualitativo diventa possibile soprattutto coinvolgendo i fondi immobiliari, veicoli giuridici flessibili, trasparenti e assoggettati a regimi fiscali miti.

Qualche dato può aiutare a capire. Il “Fondo abitare sociale” – soldi Fondazione Cariplo, gestione dei salesiani della società di gestione del risparmio Polaris Investments – è una realtà ai nastri di partenza, e il Sole 24 Ore del 10 giugno (inserto Finanza e Mercati, pag. 17) dà conto di altre iniziative simili pubblicandone un interessante elenco. Cosa fanno soggetti di questo tipo? Non semplice attività erogativa, ma “investimento etico”, a fianco delle istituzioni pubbliche, promuovendo iniziative di interesse sociale.

Vediamo perché l’Italia ha tanto bisogno di questo tipo di iniziative. Il nostro, si è detto e scritto più volte, è un sistema governato da una classe politica e amministrativa estranea  – a tutti i livelli o quasi – alla cultura del risultato. Una classe politica lontana, cioé, dagli obiettivi di efficacia ed efficienza nel raggiungimento degli obiettivi che pure la Costituzione prevede.

Il cambio di rotta che si trova a dover imprimere questo Governo non è dunque facile. Il problema principale non è solo la razionalizzazione delle risorse esistenti – l’approccio proattivo con cui hanno iniziato infatti non ci fa solo ben sperare, ma ci fa credere nel risultato. La questione è un’altra, ed è più drammatica: con le finanze pubbliche nelle condizioni attuali, i margini di manovra sono estremamente ridotti.

L’impressione comune è di avere una coperta troppo corta che, comunque la si tiri, lascia sempre scoperti. Per realizzare i progetti proposti servono soldi. Ma per reperire i soldi lo Stato si dovrebbe indebitare, e con i vincoli europei la cosa si fa estremamente onerosa. Ogni spesa, infatti, graverebbe sugli indicatori economici come deficit/PIL  o  come l’ indebitamento netto… tenuti ovviamente d’occhio della UE. Senza contare che lo spread del BTP rispetto al Bund si fa sempre più cospicuo, e ciò è il segnale – nefasto – di un potenziale aggravio del servizio del debito pubblico.

E’ tutto perduto? Che ne è del programma? Il governo in realtà ha la possibilità di fare, e di fare parecchio. Ha una idea di fondo, vecchia assai, come i vini buoni. Quella, cioé, di “fare” il meno possibile. “Lasciando fare” – è il laissez faire del liberalismo classico – ai privati. Il modo migliore di agire è quello di creare i presupposti legali perché siano i privati – in un quadro normativo chiaro ma essenziale – a muoversi e fare.

I settori in cui l’intervento privato è fondamentale sono numerosi: oltre alla ricerca, tutti i campi delle infrastrutture sono pagine bianche in cui potenzialmente possono instaurarsi iniziative congiunte tra Stato e privati (le PPP: “private-to-public partnerships”). Incoraggianti precedenti italiani tra l’altro non mancano: l’Autostrada del Sole è un esempio classico di un’iniziativa privata in cui lo Stato non ha fatto niente. O, meglio: ha lasciato fare.