Per un magro bottino (mancato)  Veltroni perde la faccia

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Per un magro bottino (mancato) Veltroni perde la faccia

14 Novembre 2008

 

C’è un paese nel mondo in cui l’elezione di un parlamentare dell’opposizione a presidente di una commissione che non ha alcun potere concreto viene definita dalla stessa opposizione un “golpe”, simile a quello che Videla attuò in Argentina. Strano paese, no?

E’ vero che è lo stesso paese in cui una sentenza della Cassazione viene definita “mostruosa” e “omicida” a prescindere da argomenti giuridici ancora sconosciuti, e un verdetto di un Tribunale chiamato a decidere sulla consistenza di prove (e non a sanare l’ansia di giustizia di una parte politica) viene, a prescindere, condannato come “sentenza cilena”. E’ un paese dove il confronto politico e persino quello delle idee mutua i suoi toni dagli ultrà delle tifoserie calcistiche, dove un ministro viene definito “non appartenente alla razza umana” da un prestigioso intellettuale, anche questo è vero, ma il caso della Vigilanza Rai è veramente speciale, sia per i modi in cui al presunto golpe si è arrivati sia, suvvia!, per l’irrilevanza della posta in gioco.

La Commissione di vigilanza Rai è un istituto di garanzia si dice, e in teoria lo sarebbe, se non fosse che a decidere chi e cosa va garantito è la maggioranza all’interno della commissione. E se l’opposizione sapesse usare del ruolo attribuito al suo presidente per questioni che vanno al di là dell’interesse contingente della stessa. Ma questo non è mai successo (salvo, forse, nei primi mesi del 1994, quando mi toccò l’onore di presiederla, ma solo perché si era in un momento particolare di trapasso da un sistema ad un altro e la Rai viveva una breve irripetibile fase di sostanziale autonomia) né può succedere, visto che la Rai è un’azienda pubblica direttamente controllata e “garantita”, se vogliamo usare questo termine nell’accezione fattuale, dagli stessi partiti politici che si dividono le cariche all’interno della commissione di vigilanza.

Certo, il presidente della Vigilanza conta: ma essenzialmente per il ruolo extraparlamentare che finisce per assumere, in supplenza di quello istituzionale che rapidamente finisce per insabbiarsi nella palude dei veti contrapposti. Se ha buona immagine e cattivo carattere, e se non pretende di favorire oltremisura gli amici che ha dentro l’azienda, le sue interviste fioccano a centinaia nel corso dell’anno, e fanno rumore, almeno fino a quando anche la stampa si accorge che in realtà non ha alcun peso politico e tutto finisce lì. Ora, vista la natura istituzionale della commissione, è giusto che a presiederla sia un rappresentante dell’opposizione; ma al tempo stesso, visto il ruolo effettivo che andrà a svolgere, è del tutto opinabile che esso sia scelto dall’opposizione senza che la maggioranza possa esprimere una sua valutazione.

E’ su questo nodo che si sono aggrovigliati i rapporti fra Pdl e Pd. Un conto è aver maturato non il diritto (perché i regolamenti parlamentari non ne fanno menzione) ma la facoltà di guidare la commissione, un conto è di usare questa facoltà soltanto per fare un dispetto alla maggioranza, scegliendo fra tutti i parlamentari quello che incarna l’antagonismo più estremista e barricadiero. Nessuna maggioranza al mondo avrebbe accettato una soluzione così autolesionista.

In realtà l’importanza della commissione consiste nell’unico atto concreto che è chiamata a compiere: la nomina di gran parte del consiglio di amministrazione della Rai e del suo presidente, a maggioranza qualificata. Il consiglio Rai è in regime di proroga, il management è bloccato, l’azienda vive alla giornata, se l’impasse in commissione fosse continuato all’infinito chi avrebbe portato la responsabilità del possibile disastro? L’ammuina non poteva più andare avanti, al di là dei sacrosanti richiami dei radicali al rispetto della legge e dei regolamenti.

E’ per questo che è davvero incomprensibile il comportamento del leader dell’opposizione.

Possibile che Walter Veltroni non si rendesse conto di avere imboccato una strada senza uscita, nonostante i saggi consigli di chi pure, come Marco Follini, nutre nei confronti del premier un’ostilità ferrea e anche un po’ rugginosa? Arrivati alla votazione numero 45 a Veltroni qualche sospetto di perdere la partita sarebbe pur dovuto venire. Anche perché alle 10.30 del giorno fatidico la maggioranza aveva preannunciato che quella sarebbe stata l’ultima votazione. Eppure, incredibile ma vero, fino alle 16.30, quando la commissione si è riunita, dal Botteghino non è partita neppure una telefonata per cercare di sparigliare le carte. Una sconfitta è soltanto una sconfitta, ma una sconfitta prevista, evitabile e non evitata è un fallimento politico. E l’intempestivo preannuncio da parte del segretario del Pd delle immediate dimissione del neo-eletto presidente Villari ha aggiunto allo psicodramma politico quel tocco di comicità fantozziana che da tutta la vicenda era giusto aspettarsi.