Per una Regione Medio Adriatica
13 Aprile 2013
Con la locuzione “medio Adriatico” ci si riferisce tradizionalmente alle zone costiere dell’Italia Centrale, Marche, Abruzzo, Molise e ai relativi campanili, Pesaro e Urbino, Ancona, Macerata, Fermo, Ascoli Piceno, Teramo, Pescara, Chieti, Campobasso. Un’area che se dal punto di vista politico-amministrativo riuscisse a muoversi sinergicamente potrebbe facilmente competere con l’Alto Adriatico (Veneto ed Emilia Romagna) e con i Paesi dei Balcani.
L’articolo 132 della Costituzione dice infatti che «si può con Legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».
Marche, Abruzzo e Molise, oggi contano oltre 3 milioni di abitanti, 680 Comuni su 24.500 chilometri quadrati. Fonderle in una sola regione significherebbe superare il nanismo tipico dell’impianto regionalistico italiano, offrire un approccio istituzionale più moderno ed efficace per la governance del territorio e stabilire una strategia comune di controllo pubblico delle trasformazioni territoriali.
Sarebbe l’occasione per “ripensare le comunità”, valorizzando i distretti, riorganizzando le reti infrastrutturali urbane ed extra-urbane nel contesto della competizione globale, e recuperando quella identità adriatica che risale ai popoli italici insediati nel V e nel VI secolo a.C. tra Abruzzo e Molise, in parte del Lazio, delle Marche e dell’Umbria.
Negli ultimi anni l’area adriatica ha vissuto profonde trasformazioni da un punto di vista produttivo e industriale, da una parte con l’emergere di alcune medie e grandi imprese divenute leader dei distretti, dall’altra con processi di delocalizzazione delle filiere di PMI che hanno avuto come conseguenza un saldo occupazionale negativo. Da qui bisogna partire guardando innanzitutto allo sviluppo delle reti infrastrutturali, alla connessione del sistema marittimo e portuale con quello su ferro e gomma.
Concetto chiave è senza dubbio la intermodalità. L’ammodernamento del sistema ferroviario potrebbe essere favorito dall’utilizzo delle Società a guida regionale sussidiarie a Trenitalia, tenendo presente che oggi le Marche non hanno un vettore di trasporto passeggeri e commerciale, mentre l’Abruzzo sì; come pure andrebbe razionalizzato il sovraffollamento dell’offerta generato dalla vicinanza geografica dei piccoli scali aeroportuali nel medio Adriatico (Ancona, Forlì, Rimini, Perugia, Pescara).
Il programma “Europe Interconnecting Facility”, per esempio, favorisce la mobilità e lo sviluppo delle reti di trasporti ed è proprio all’Europa che dobbiamo guardare per crescere. La recente costituzione della “Macro Regione Adriatica” va nella direzione di connettere Ancona e Pescara a Zara, Spalato e Dubrovnik, con l’obiettivo di modernizzare le strutture portuali, il mondo della pesca, le comunità marittime, il settore nautico, far espandere le città costiere e rafforzare il turismo. Eurobond e altri meccanismi di sostegno garantiti dalla UE devono servire a finanziare gli investimenti, attraverso l’emissione di titoli di debito europei o italiani concordati sulla base di un piano trasparente.
La Regione medio Adriatica rappresenta infine un passo avanti nella politica delle relazioni internazionali italiana verso i Paesi dell’Europa Orientale, dopo i radicali cambiamenti seguiti alla fine della Guerra Fredda, al crollo dell’URSS e del regime socialista iugoslavo, ai conflitti balcanici degli anni Novanta. In questo contesto l’Italia adriatica può giocare un ruolo di Paese-Guida nei processi di avvicinamento e di cooperazione tra Europa e Balcani, grazie alla memoria storica sugli scambi, culturali ed economici, che sempre hanno caratterizzato le due sponde del nostro mare interno.
* Deputato del Popolo della Libertà