Per uscire dalla crisi il governo non colpisce i ricchi ma aiuta i poveri

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Per uscire dalla crisi il governo non colpisce i ricchi ma aiuta i poveri

04 Maggio 2009

Nei giorni scorsi è tornata all’ordine del giorno – in termini più realistici del solito – la questione della povertà. Grazie ad una nuova metodologia di indagine, adottata dall’ISTAT su sollecitazione del Governo, è stato possibile avere una rappresentazione più precisa del fenomeno, in seguito ai dati dell’indagine riguardanti la situazione del 2007.

L’Istat, infatti, nel condurre la nuova indagine non ha adottato l’indicatore ingannevole della c.d. povertà relativa (più adatto a misurare le differenze), ma quello della povertà assoluta. Ciò ha consentito di calcolare, per ciascuna tipologia di famiglia e a seconda dell’età, della ripartizione geografica e del Comune di residenza, la spesa mensile minima necessaria per acquistare un certo paniere di beni e servizi, individuato sulla base di oggettivi, come la soglia del rischio-povertà.

Nel 2007 erano 975mila le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta, pari al 4,1% dei nuclei residenti per un totale di 2 milioni e 427mila persone. L’incidenza maggiore di povertà assoluta era concentrata nel Sud e nelle Isole (5,8%), poi nel Nord (3,5%) e nel Centro (2,9%). La gravità del fenomeno raggiungeva livelli più elevati nella famiglie con tre o più figli, nel caso che la persona di riferimento fosse donna e dove vi erano anziani. La povertà era inoltre associata a bassi livelli d’istruzione e di qualificazione professionale e all’esclusione dal mercato del lavoro.

La lotta alle povertà estreme, ai bisogni degli ultimi, è uno dei principali obiettivi per la costruzione di una società fondata sulle opportunità e sulla solidarietà. Il sistema di Welfare non può ignorare le esigenze dei cittadini più in difficoltà, di quanti si trovano nella indigenza, al di sotto delle condizioni economiche minime. Il contrasto alla povertà avviene, in primo luogo, con la promozione di una società attiva, sostenendo l’occupabilità delle persone e la creazione di posti di lavoro di qualità, costruendo percorsi personalizzati di formazione, orientamento e accesso al lavoro, valorizzando un sistema retributivo che incoraggi la produzione di ricchezza. Esistono tuttavia componenti della società a forte rischio di esclusione sociale e che non sono in grado di rispondere da sé al bisogno. Persone a cui è preclusa l’entrata nel mondo del lavoro e nella stessa società attiva. Tra questi gli anziani oltre i 65 anni con la sola pensione minima, le famiglie con un solo genitore (spesso donna) e con figli minori a carico, quelle con figli portatori di disabilità. È questa dimensione della povertà, quella assoluta, che deve essere riscoperta e affrontata, al fine di assicurare una vita buona anche a coloro che si trovano nelle condizioni più difficili.

Se i dati del 2007 indicano una relativa stabilità del fenomeno, negli ultimi tempi si è registrato un peggioramento della situazione delle famiglie povere in conseguenza della crisi finanziaria internazionale e dei suoi effetti sull’economia. Se il lavoro costituisce la prima risposta al bisogno – non solo in senso materiale, ma di integrazione nella società – è pur sempre necessario provvedere a integrare il reddito di coloro per i quali appare difficile l’inserimento lavorativo. Così, il Governo, pur nelle difficoltà in cui ha dovuto operare (alle quali si è aggiunto da ultimo il terremoto in Abruzzo), ha adottato una strategia adeguata a fronteggiare l’emergenza, prioritariamente difendendo l’occupazione e il lavoro, grazie alla predisposizione, insieme alle Regioni, di una salda “rete di sicurezza” di ammortizzatori sociali allo scopo non solo di garantire un reddito ai lavoratori ma di mantenerli il più a lungo possibile collegati all’impresa in costanza di rapporto di lavoro.

In forza di queste scelte (per la prima volta sono state istituite forme di tutela per il lavoro indipendente e parasubordinato) il Governo ha potuto contrastare una delle più devastanti cause di povertà: l’esclusione dal mercato del lavoro. Sul versante del contrasto delle povertà assolute e delle esigenze inclusive di situazioni di particolare disagio è doveroso ricordare che alcuni milioni di famiglie hanno beneficiato delle misure del “pacchetto anticrisi”: il bonus straordinario (per cui sono stati stanziati 2,4 miliardi); le agevolazioni per i nuovi nati (25 milioni ad uno specifico fondo credito); bonus pannolini; revisione dei tassi sui mutui; tariffe agevolate per luce e gas, ecc. Alcune centinaia di migliaia di cittadini in possesso dei requisiti richiesti si avvalgono della social card, una volta superate le iniziali difficoltà operative. Questi programmi, soprattutto per chi è solo temporaneamente in condizioni di non autosufficienza, non devono costituire una trappola, da cui scaturiscono emarginazione e lavoro nero, né devono essere pensati come strumenti che facilitino la permanenza in questa condizione. Questi interventi, al contrario, devono tenere conto delle differenti realtà locali, essere accuratamente configurati per fasce precise di beneficiari e combinabili con strumenti di Welfare to Work per il successivo inserimento lavorativo.

Poiché l’esclusione sociale è un fenomeno che presenta caratteristiche diversificate, a seconda delle aree geografiche, le risposte devono pertanto essere articolate. Di questi problemi si è parlato anche alla Camera, su iniziativa di una mozione il cui primo firmatario era il segretario del Pd Dario Franceschini. La principale proposta contenuta era quella di una tassazione una tantum sui redditi superiori a 120mila euro, ritenuta non condivisibile dal Governo e dalla maggioranza perché colpirebbe una fascia modesta di contribuenti (per due terzi lavoratori dipendenti e pensionati) su cui grava una quota importante dell’intero prelievo sul reddito. La mozione approvata, presentata dalla maggioranza, ha invece invitato il Governo a proseguire nelle azioni intraprese nel “pacchetto anticrisi”, a monitorarne gli effetti e a rendere sempre più congrui i requisiti richiesti allo scopo di utilizzare al meglio ed interamente le risorse stanziate, in quanto sono proprio i dati emergenti dall’indagine dell’Istat, ad evidenziare la necessità di far fronte ad esigenze differenziate con politiche anch’esse differenziate; a valutare la possibilità di estendere la platea dei destinatari del bonus famiglia e della social card proprio per meglio rispondere ad un più ampio quadro di situazioni di disagio e di bisogno; ad adottare ogni ulteriore utile misura di lotta all’emarginazione e, prioritariamente, di inclusione delle situazioni di povertà assoluta sulla base del disegno organico che sarà contenute nel Libro bianco del ministro del welfare e che dovrà prefigurare un passaggio organico da una impostazione risarcitoria ad una cultura inclusiva (in primis attraverso il lavoro e la formazione) del sistema di sicurezza sociale; ad accompagnare gli interventi di carattere assistenziale e di contrasto all’emarginazione con percorsi di carattere formativo, commisurati alle attitudini della persona.