Per Vendola l’unità del centrosinistra passa per la sua radicalizzazione
12 Settembre 2011
In un’intervista pubblicata oggi su L’Unità, il governatore pugliese e leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola, lancia un invito a tutte le forze di centrosinistra, in particolare al Pd, affinché si presentino unite in piazza a inizio ottobre contro l’attuale governo e maggioranza: "Serve subito una grande piazza di alternativa – dice Vendola – dobbiamo muoverci, la crisi politica del centrodestra non trova uno sbocco virtuoso perché noi appariamo divisi".
A dire il vero, in questo caso si può dire a ragione che tra l’"essere" e l’"apparire" c’è coincidenza, visto che il centrosinistra non solo appare ma è realmente diviso. E l’appello di Vendola all’unità, letto in controluce, altro non è che la conferma dell’esistenza di profonde divisioni e il tentativo di spostare verso la sinistra radicale l’asse politico di una coalizione allo sbando.
Il concetto viene reso esplicito andando avanti nell’intervista, quando il leader di Sel tira in ballo "l’ossessivo e monotono appello alle forze centriste" che, a suo dire, "non ha consentito finora al Pd di compiere il gesto fondamentale di una chiamata delle altre forze del centrosinistra per ritrovare la tela dell’unità". E’ qui che emerge in maniera evidente una concezione del centrosinistra che non coincide – nella sua impostazione di base – con quella del segretario del Pd Pierluigi Bersani, impegnato nella costruzione di un Nuovo Ulivo, ma intento anche a instaurare dei rapporti con l’Udc auspicando una convergenza con il partito di Casini.
Alla luce di tali affermazioni, l’appello vendoliano all’unità del centrosinistra suona più come un monito affinché si affermi un modello di coalizione che coinvolga la sinistra estrema di Sel e il giustizialismo dipietrista rinunciando, dall’altro lato, alla vocazione riformista e moderata, su cui invece Bersani vorrebbe puntare. Si tratta di un avvertimento (neanche troppo velato) rivolto ai vertici del Pd, che se vorranno continuare ad inseguire "le sirene del moderatismo" dovranno però fare i conti con un battitore libero politicamente molto insidioso. Vendola, del resto, ha già dimostrato al Pd che il potenziale della sinistra estrema, in un momento di crisi e di rigetto della politica come questo, è forte, sia a livello di consensi che di espressione di leadership in grado di sovrastare quelle democratiche: il caso di Pisapia a Milano ne è stato un esempio, che potrebbe ripetersi a livello nazionale con una scalata di Vendola attraverso le famose primarie di coalizione.
In sostanza, il messaggio contenuto nelle parole di Nichi è il seguente: o il centrosinistra si presenta unito secondo lo schema Pd-Sel-Idv o l’alternativa al centrodestra la sinistra radicale la costruirà da sé, capitalizzando da sola i frutti dell’attuale contesto politico in termini di protesta e di consenso elettorale. Un rischio serio per il Pd, che potrebbe consegnare suo malgrado a Vendola la leadership di un centrosinistra sempre più nel caos. Lo sa bene Bersani che, non a caso, procede sul doppio binario del Nuovo Ulivo e della convergenza con l’Udc senza tuttavia accelerare troppo su nessuno dei due fronti, in modo da portare avanti al contempo entrambe le strategie.
Quella del Pd è una tattica ambigua – nel vero e proprio senso del termine – che se da una parte tesse la tela del dialogo, dall’altra vuole sottolineare anche l’autosufficienza del Pd: proprio ieri D’Alema, alla festa dei democratici di Firenze, ha fatto presente come certi sondaggi darebbero il Pd per vincitore anche senza i voti dell’Udc. Viene da chiedersi, a questo punto, quanto a lungo Bersani e i suoi potranno tenere il piede su più staffe e per quanto tempo ancora il centrosinistra riuscirà ad evitare di prendere una direzione chiara, definendo una volta per tutte gli assetti interni.
Nell’attesa che il centrosinistra ritrovi se stesso, Vendola intanto elenca le sue ricette alternative a quelle messe in campo dal governo e dalla maggioranza parlamentare per far fronte all’attuale stato di crisi dell’economia nazionale: "Il debito? Va aggredito con la patrimoniale, con la tassazione delle rendite finanziarie e con il taglio secco delle spese militari. E bisogna ridiscutere a Bruxelles quei vincoli che vengono presentati come tavole della legge e invece sono diktat ricattatori". Ecco le risposte della sinistra, quella che nel 2008 i cittadini hanno lasciato fuori dal Parlamento e che, ora, fa di nuovo capolino.