Per vincere a Milano bisogna capire gli errori della campagna elettorale

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Per vincere a Milano bisogna capire gli errori della campagna elettorale

17 Maggio 2011

Sono curioso di vedere quanto tempo impiegherà il Pdl (e dunque Berlusconi) a comprendere gli errori commessi nell’autolesionistica campagna elettorale, spia di un malessere profondo manifestatosi da molto tempo, come segnalato da questo deluso ed incazzato Maldestro. E vorrei anche sapere (ma è uno di quei desideri impossibili) quando si deciderà il partito del Cavaliere (e lui stesso in prima persona) a fare del soggetto malamente combinato un’entità reale, popolata di gente con qualche idea e, dunque, refrattaria a ridurre la politica ad una sequela di slogan tra i quali, paradossalmente, affondano i tanti buoni provvedimenti attuati dal governo. E mi piacerebbe poi conoscere se e quando il Pdl troverà il modo di discutere di se stesso, delle sue strategie della sua impalpabile identità culturale, della sua classe dirigente centrale e periferica, dando finalmente voce a chi non l’ha mai avuta negli ultimi tre anni.

So già che queste richieste rimarranno inevase. Certo, non è tempo di chiacchiere. A Milano si deve vincere. Ma se la rincorsa è cominciata con alcune dichiarazioni che non so se più demenziali o truculente rese a spoglio non ancora ultimato, c’è poco da stare allegri e Pisapia può già brindare. Non è questione di moderatismo, come potrebbe immaginare qualcuno. È questa una categoria che non mi ha mai appassionato: conosco l’impegno, la determinazione, il decisionismo. Ma pure la temperanza che non è soltanto una virtù spirituale, ma anche una prassi politica. E di temperanza se n’è vista poca a Milano come altrove.

In nessun caso – e per nessuna ragione – è consentito ad un partito che guida il Paese di lanciarsi forsennatamente all’inseguimento delle pulsioni elementari più ignobili per tentare di arraffare qualche voto, neppure riuscendoci peraltro. Non funziona così. Mitterrand nel 1981 vinse le elezioni presidenziali all’insegna della "forza tranquilla". Ed ha governato per quattordici anni filati. Che cos’è che non fa essere tranquillo il centrodestra? L’aggressione giudiziario-mediatica? Certamente. Ma una cosa è rispondere processualmente e politicamente, un’altra è assumere un atteggiamento gladiatorio comunque e a prescindere anche quando non ne vale la pena, anzi quando si sa che può essere dannoso.

Vorrei tanto sapere chi ha messo quel tale Lassini in lista; chi ha passato la cartuccella avvelenata alla Moratti nell’ultimo confronto con Pisapia; chi le ha consigliato di non scusarsi quando la frittata era orma fatta. Anche queste domande rimarranno senza risposte.

Così come nessuno risponderà al quesito più banale che si possa immaginare: perché non è mai stato riunito un organismo di partito, se non per decidere quanto meno per ratificare le candidature, come avveniva al tempo in cui i partiti erano soggetti veri, autentici motori del consenso, portatori di istanze sociali e culturali? Tutto lasciato ai quattro oligarchi che adesso ci spiegano la fava e la rava di una disfatta che poteva essere evitata, ma non ci diranno come mai il Pdl ha perduto dal 2008 circa il 10% dei voti.

In altri termini, se qualcuno pensa che la sconfitta di Milano, cui non sono seguiti risultati particolarmente brillanti altrove, a parte vittorie locali scontate, è un episodio rimediabile (e speriamo che lo sia davvero) vuol dire che non ha capito niente dei movimenti tellurici della Lega che sta lavorando per riposizionarsi, dello scontento nel Pdl dove avanzano falangi di "delfini" in attesa della conta finale, dello sbandamento in periferia dove il partito sta in mano a gente che non conosce neppure fondamentali della politica però si arroga il diritto di compilare liste e stringere alleanze o respingere affini, vivendo momenti di effimera gloria in alcune discutibili esposizioni mediatiche.

Quante volte abbiamo messo in guardia da queste libere pagine elettroniche dell’Occidentale il Pdl dai pericoli che correva destrutturandosi lentamente senza minimamente pensare a come ristrutturarsi. Vedevamo più lontano? Neppure per idea. Semplicemente leggevamo un libro, che non è quello dei sogni, che nessuno voleva più sfogliare. S’intitola al realismo. Lo so, è più comodo vivere nell’incanto fallace dell’utopia sperando di non svegliarsi mai. Ma la politica non è roba per dilettanti (e non aggiungo altro per carità di patria) e quando si manifesta un problema serio i pannicelli caldi non servono. Oggi è esploso il problema. In poche settimane poterebbe sfasciarsi tutto, a cominciare dal rapporto con il "fedele alleato". Non serve a niente aspettare l’esito dei ballottaggi se non si provvede immediatamente a fare i conti con una realtà davvero drammatica. Berlusconi ha la forza di liberarsi dai suoi incubi e fare ciò che gli chiede il centrodestra, vale a dire il presidente del Consiglio che decide, programma, agisce, indica una prospettiva di crescita all’Italia, parla il linguaggio dei cittadini, si sottrae alla suburra parlamentare e sceglie i più meritevoli e capaci per affiancarlo non soltanto nell’azione di governo, ma soprattutto nella creazione di un nuovo centrodestra capace di conquistare l’avvenire?

Non c’è altro da fare. Prima di vedere Milano e Napoli cadere nelle mani della sinistra più scadente d’Europa, vittoriosa non per i suoi meriti, ma per i demeriti degli avversari.