Per vincere in Afghanistan è necessario addestrare più truppe

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Per vincere in Afghanistan è necessario addestrare più truppe

20 Novembre 2008

La guerra in Afghanistan non sta andando molto bene. Il problema principale è lo stesso che ha rallentato i nostri sforzi in Iraq per anni: un numero di soldati largamente insufficiente. Le truppe occidentali di stanza da quelle parti hanno raggiunto appena le 60.000 unità, mentre le forze di sicurezza afgane ammontano a 140.000 unità. Vediamo di capirci: stiamo provando a fare con 200.000 soldati quello che in Iraq ha richiesto 700.000 soldati (più 100.000 volontari). Solo che L’Afghanistan è più vasto dell’Iraq e anche più popoloso.

Barack Obama ha saggiamente promesso un incremento di truppe Usa per l’Afghanistan. Solo che la sua “mini-surge”, che dovrebbe consistere in circa 15.000 soldati in più, oltre ai 30.000 americani e 30.000 uomini della NATO che sono già sul posto, è un strategia insufficiente, c’è bisogno di più truppe.

D’altronde è anche vero la soluzione del conflitto afghano non sta tutto nei numeri. Come ha sottolineato recentemente lo stesso Generale Petraeus, l’Afghanistan non è l’Iraq e quello che ha funzionato in un posto non è detto che funzioni anche da un’altra parte. Tra le altre cose il “santuario” pakistano, in cui si nascondono i guerriglieri Talebani e gli altri partigiani di Jalaluddin Haqqani e Gulbuddin Hekmatyar e degli altri signori della guerra, complica enormemente le vicende afghane. Detto questo, però, è anche vero che i principi base della contro insurrezione e della stabilizzazione post bellica valgono indipendentemente dalle missioni. Il numero delle forze di sicurezza messe in campo è sempre importante.

Alla fine della scorsa estate, il Segretario della Difesa Usa, Robert Gates, è finalmente riuscito a prendere un decisione importante che porterà a 200.000 il numero delle forze di sicurezza afgane. Il che, aggiunto alle due o tre brigate in più dei G.I. americani che dovrebbero raggiungere l’Afghanistan nei mesi a venire, porterà il numero totale di soldati della coalizione a quota 275.000. E’ un miglioramento, d’accordo, ma è sempre meno della metà di quanto ci serve in Iraq, una nazione ben più piccola.

Il motivo principale per cui le forze di sicurezza in Afghanistan sono così inconsistenti dipende dalla cosciente volontà dell’Occidente di tenerle in questo stato. Le politiche afgane rientrano in questa strategia, anche se gran parte del ragionamento si basa sul fatto che l’Afghanistan non sarebbe in grado di stanziare fondi sufficienti a ripagare un esercito più grande. Per questo motivo le forze armate sono cresciute in modo così sorprendentemente lento – contavano 6.000 soldati nel 2003, numero che è lievitato fino a circa 25.000 unità nel corso del 2005, per arrivare a 36.000 nel 2006, 50.000 nel 2007 e 58.000 nel 2008. La polizia di frontiera e le forze di sicurezza hanno seguito un processo di crescita simile. Inoltre, come hanno notato Jason Campbell e Jeremy Shapiro nel “New Afghanistan Index” pubblicato dal Brookings Institution, soltanto il 30% delle forze di sicurezza e il 3% delle forze di polizia esistenti in Afghanistan sono pronte all’azione.

Se è vero che il Pil dell’Afghanistan ammonta solamente a 11 miliardi di dollari mentre il suo budget di spesa federale è limitato a 4 miliardi (più della metà dei quali provengono da aiuti stranieri) è  ovvio che il paese non può sostenere una forza di polizia e un esercito più numerosi. Allora per quale motivo, in Afghanistan, si dovrebbe costruire una forza di sicurezza di grandi dimensioni? La risposta è fin troppo semplice: perché le alternative sono peggiori. Ci sarebbe la possibilità di incrementare il numero dei soldati NATO di stanza in Afghanistan, spingendo però il costo totale dell’operazione bel aldilà del budget attuale che ammonta a 4 miliardi di dollari al mese. L’altra possibilità è di perdere la guerra quasi sicuramente.

Gli Stati Uniti hanno speso circa 3 miliardi di dollari all’anno per sponsorizzare le forze di sicurezza afghane. Si tratta di un sacco di soldi, ma comunque di una cifra non paragonabile a quella che gli stessi Usa spendono complessivamente in Afghanistan per il proprio esercito. Dovremmo essere pronti a raddoppiare quei tre miliardi, se necessario. Questa spesa extra non dovrà essere sostenuta a tempo indeterminato. Una volta che le forze di sicurezza afghane avranno l’equipaggiamento di cui necessitano, e sempre ammesso che Obama sarà in grado di persuadere gli altri paesi impegnati in Afghanistan a contribuire alle spese, il fabbisogno americano di aiuti per la sicurezza dovrebbe tornare sui livelli attuali entro breve.

Nell’ultima edizione di Foreign Affairs, due importanti ricercatori dell’Asia meridionale si chiedono se il sistema politico americano sia sufficientemente affidabile per sovvenzionare le forze di sicurezza afghane in un periodo di tempo piuttosto lungo. La risposta è positiva. Gli Stati Uniti lo hanno dimostrato nel corso degli anni e quando i loro interessi primari erano in ballo, nello sponsorizzare la Corea e Taiwan, la Grecia e la Turchia, e durante le ultime tre decadi anche Egitto e Israele. Di certo, in Afghanistan, il Paese in cui al-Qaeda aveva il suo quartier generale – e in cui ogni mese più di venti G.I. americani e una decina di soldati stranieri hanno perso la vita nel portare avanti una missione che nemmeno gli stessi afghani sono in grado di guidare – il gioco vale la candela e un adeguato investimento finanziario.

Aiutare il governo afghano a reclutare, curare, addestrare ed equipaggiare un totale di 3/400.000 forze di sicurezza richiederà tempo e denaro. Ora come ora, soltanto il 40% degli addestratori Usa e NATO necessari all’attuale dimensione dell’esercito sono sul posto. Abbiamo 2.000 addestratori in Afghanistan (in Iraq ce ne sono 6.000), gli alleati della NATO ne hanno soltanto 500. Raddoppiare gli sforzi in questo settore richiederà un’ulteriore afflusso di risorse, incluso forse la trasformazione di qualche brigata dell’esercito Usa in quello che il Colonnello in congedo John Nagl descrive come una “divisione di addestratori”.

Per fortuna possiamo permetterci il lusso di essere pazienti, almeno dal punto di vista strategico in senso lato. Infatti, anche se i costi in termini di vite umane della guerra in Afghanistan sono tragici, si attestano comunque su di un livello decisamente meno sanguinolento di quello visto in Iraq nei suoi momenti di maggiore violenza. Il popolo afghano, dal canto suo, anche se ora è un po’ meno impressionato dall’operato del proprio governo e da quello degli Stati Uniti rispetto a prima, rimane speranzoso e in ripresa, almeno stando a quello che ci dicono i sondaggi più recenti. Anche se è vero che abbiamo un po’ di tempo, questo non significa che ci sia tempo da perdere. Nel collaborare con il Presidente Hamid Karzai, la nuova amministrazione Usa dovrà rendere una priorità assoluta l’adeguamento delle forze di sicurezza afghane.

Micheal O’Hanlon è un ricercatore del Brookings Institution

© Wall Street Journal          

Traduzione Andrea Holzer