Perché a Bassolino non restano che le dimissioni
02 Agosto 2007
Il tempo del rinascimento bassoliniano è lontano anni luce, la leggenda del buongoverno delle giunte rosse trasferita alle amministrazioni meridionali è una chimera che si dissolve nella foschia dell’afa estiva e la grande macchina comunicativa messa in piedi dall’entourage del Governatore della Campania è ormai del tutto inadeguata a coprire l’evidenza di un fallimento politico e gestionale. Ma il rinvio a giudizio di Antonio Bassolino, richiesto dalla procura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sui rifiuti, arriva in un momento estremamente delicato, rischiando di compromettere il futuro politico dell’uomo che nel 1993 fu acclamato come il nuovo salvatore della patria, e che oggi, in prossimità della conclusione del suo lungo ciclo di amministratore locale, è chiamato a far pesare la propria leadership, significativamente depotenziata, nel costituendo Partito Democratico.
Sono ventotto le richieste di rinvio a giudizio per presunte irregolarità nella gestione dello smaltimento dei rifiuti in Campania, depositate dai pm napoletani Giuseppe Novello e Paolo Sirleo, che indagano da tempo su uno degli scandali più clamorosi degli ultimi anni. Oltre Bassolino, coinvolti tra gli altri gli ex vertici campani della Impregilo, il vicecommissario per l’emergenza rifiuti Raffaele Vanoli e il subcommissario Giulio Facchi, alternatisi nel corso degli anni. Gravissime le ipotesi di reato: truffa aggravata e continuata, frode nelle forniture, abuso d’ufficio. Per la procura guidata da Giovandomenico Lepore, l’emergenza rifiuti che in questi anni ha devastato il volto di Napoli e di gran parte del territorio regionale, è il frutto di un «disegno criminoso» ordito da commissari controllori e dai vertici delle aziende vincitrici dell’appalto del ciclo rifiuti. L’accusa al presidente Bassolino trova, per Lepore, conferma nella sua condotta che «ha contribuito a creare l’emergenza attuale. Bisognava intervenire prima, con tempestività, anche perché finora i rifiuti non sono certo scomparsi dalle strade».
Se dalla procura provengono valutazioni che riguardano il profilo giudiziario e l’accertamento delle responsabilità penali dei singoli indagati, non si possono ignorare le responsabilità politiche derivanti da un’amministrazione incapace di far fronte ad una emergenza che si trascina da oltre un decennio. E se Bassolino viene ritenuto responsabile di «artifici e raggiri tesi a mascherare agli occhi della Presidenza del consiglio dei Ministri e degli enti locali una crisi di rilievo nazionale», oltre che «commissario inerte di fronte a una emergenza evidente», le sue responsabilità per l’incalcolabile danno ambientale prodotto sono enormi. Nella richiesta di rinvio a giudizio, infatti, i pm affermano: «la forza della condotta del commissario in questi anni sta nell’apparenza e nel silenzio. Mediante il silenzio, è stata coperta la inidoneità tecnica degli impianti e la disorganizzazione gestionale di un corretto e regolare adempimento, inducendo in errore la presidenza del Consiglio dei ministri. Gli effetti sono quelli che conosciamo: rallentamenti, interruzioni del servizio di ricezione dei rifiuti solidi urbani, accumulo dei rifiuti in strada. È così che sono nati siti di trasferenza e stoccaggio approntati dai sindaci, autorizzati dal commissario di governo per l’emergenza rifiuti con conseguenti spese per il loro allestimento e la loro gestione e trasporto, verso siti di smaltimento ubicati all’estero».
Pur non volendo ricercare un coinvolgimento ancor più grave e criminoso (compito spettante in ogni caso alla magistratura), le accuse mosse a Bassolino sono sconcertanti: non avrebbe svolto i delicati compiti assegnati dalla sua funzione, avrebbe consentito l’apertura di siti di stoccaggio in tutta la Campania in piena violazione della legge, ignorando o lasciando cadere nel vuoto le segnalazioni provenienti dagli organismi tecnici che attestavano le inadempienze delle società incaricate di realizzare le opere di smaltimento e di trattamento dei rifiuti.
La sua stessa linea difensiva non fa altro che confermarne il fallimento innanzitutto politico. Di fronte alle accuse, Bassolino ha affermato, tra l’altro, anche di aver firmato i provvedimenti contestati senza la reale consapevolezza di cosa stesse facendo (è divenuto un cult un diverbio avuto con un giornalista di Report), essendosi fidato dei pareri giuridici richiesti per l’occasione ad alcuni dei tanti consulenti nominati. Una difesa quasi farsesca, chiaramente insufficiente per convincere gli inquirenti. E se anche fosse riscontrabile la buona fede, un amministratore incapace di gestire emergenze e criticità, che si affida a consulenti inadeguati, è tenuto a prendere atto dei danni arrecati alla comunità, traendo le dovute conseguenze. La richiesta di dimissioni non sono il frutto di un’isterica e pretestuosa contrapposizione politica, ma un atto dovuto, che offrirebbe una chiave di lettura completamente diversa a questi tre lustri di gestione arrogante del potere. Un atto che porrebbe fine alle promesse non mantenute, ad anni di retorica e proclami ai quali non seguiti fatti concreti, che rendessero tangibile, nella vita di tutti i giorni, il buon governo dell’amministrazione locale. L’emergenza rifiuti di questi anni verrà ricordata come un fatto epocale, simbolo evidente dell’incapacità amministrativa e gestionale dei governanti del nostro tempo. Dopo le mani sulla città, l’epoca delle costruzioni dissennate e prive di un piano regolatore di sviluppo, aggiungeremo un altro capitolo alla nostra storia con i cumuli di rifiuti che per almeno quindici anni hanno decorato la splendida cartolina del golfo napoletano. Perché tutto questo diventi parte del nostro passato, tuttavia, non possiamo più rimetterci ai percorsi lunghi e tortuosi della giustizia. Se Bassolino afferma che “da Impregilo non ha preso nemmeno un caffè”, fino a prova contraria, è nostro dovere credergli. Ma dovrebbe avere l’intelligenza e la sensibilità politica di chi, consapevole di essere stato protagonista di una lunga serie di leggerezze, decide finalmente di farsi da parte, ponendo fine ad un lungo e contraddittorio regno, il cui prolungamento rischierebbe solo di acuire i conflitti d’interesse legati ad una figura divenuta troppo scomoda; un ulteriore e inaccettabile rallentamento al disperato tentativo di contrastare il degrado e l’incuria che ha esposto la nostra regione a continue umiliazioni agli occhi del mondo.