“Perché aderisco a IDEA”

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“Perché aderisco a IDEA”

12 Dicembre 2015

«Non si può essere giornalisti, scrittori, uomini completi se non si esce dal proprio orticello e non ci si mette in gioco per qualcosa che riguarda tutti. Attendevo da tempo un’iniziativa coraggiosa e non di vertice, una chiara scelta di campo fondata sulla cultura delle libertà. Con questo intendo una piattaforma su cui convergere in base a grandi valori (vita, diritto di scelta individuale, proprietà, famiglia naturale, libero mercato, democrazia diretta, appartenenza all’Occidente) e su questa base costruire in Italia e in Europa un’alternativa maggioritaria al conformismo di sinistra».

 

Dario Fertilio è uomo di profondi ideali, cui ha tenuto fede nel corso degli anni attraversando da protagonista sentieri storici e culturali inesplorati. Nel giornalismo e nella letteratura ha sempre rappresentato una posizione libera e anticonformista. Ha collaborato a lungo con il «Corriere della Sera», di cui è stato, in particolare, anima della redazione culturale. Nel 2013 ha vinto il Premio Acqui Storia per il romanzo L’ultima notte dei fratelli Cervi, e di recente gli è stato conferito il Premio Lucio Colletti per il giornalismo. Marsilio ha da poco dato alle stampe il suo ultimo lavoro, L’anima del Führer. Oggi ci spiega le ragioni della sua adesione al movimento “Identità e Azione”. 


Lei presiede l’Associazione Libertates, con la quale l’Occidentale ha avviato da tempo un rapporto di collaborazione e uno scambio di contenuti. Quali sono le sue finalità?

 

«Libertates è un movimento di grande tradizione, che ho fondato quasi vent’anni fa con Vladimir Bukovskij, storico leader del dissenso in Urss. Non è un caso che una delle iniziative più note sia il Memento Gulag del 7 novembre, la giornata internazionale della memoria dedicata alle vittime del comunismo. In Italia i grandi obiettivi che persegue Libertates, sul piano dell’impegno politico-culturale, sono una alleanza internazionale delle democrazie contro i nuovi totalitarismi; una profonda riforma della Ue; una piena affermazione del libero mercato; più democrazia diretta in tutte le sue forme (primarie, sistema elettorale maggioritario, referendum senza quorum); presidenzialismo con elezione diretta di un capo dello Stato dotato di responsabilità di governo; vero federalismo anzitutto fiscale; riforma della giustizia con elezione popolare dei pm; vita, famiglia e natura umana non negoziabili; libertà per ognuno di costruirsi la propria pensione; buono scuola… e tanti altri. Presto lanceremo un manifesto programmatico su tutto ciò, intitolato “Libertates Mon Amour”».

 

E in che modo ritiene si possa sviluppare il rapporto con IDEA?

 

«Sono sicuro che, in linea di principio, su tutti questi grandi obiettivi Libertates e IDEA possano marciare unite. Una prima occasione di ritrovo potrebbe venire da un dibattito pubblico proprio intorno ai contenuti di “Libertates Mon Amour”. Si potrebbe poi pensare ad una manifestazione programmatica comune e aperta, che sarebbe un’occasione di confronto e alleanza con formazioni politiche, associazioni e movimenti vicini alle nostre idee».

 

Cosa manca oggi al centrodestra italiano per rappresentare un’alternativa vincente al sistema renziano?

 

«Si deve partire dai contenuti, ma questo è difficile a causa dei personalismi e dei leaderismi che ben conosciamo all’interno della Lega e di Forza Italia. Perciò dobbiamo essere noi a prendere l’iniziativa, lanciando un programma di valori, di idee e di proposte realmente innovative e radicali. Senza preoccuparci degli attacchi che seguiranno: succede sempre quando emerge qualcosa di nuovo e l’obiettivo non deve essere il teatrino della politica ma – cito Gaetano Quagliariello – il mondo che c’è là fuori. Con un’avvertenza: non dobbiamo fondare un polo dei moderati, sarebbe una scelta perdente. Occorre invece un polo radicalmente liberale, criticamente europeista, conservatore nei valori, riformista nell’approccio culturale, libertario nei rapporti con lo Stato, saldamente occidentale al di là delle derive filorusse o terzomondiste».  

 

Si può ricostruire il campo alternativo alla sinistra assieme alla Lega di Salvini?

 

«Primum vivere: intorno a IDEA deve svilupparsi una proposta politico-culturale talmente forte e stringente da costringere Salvini, come anche Berlusconi, a prendere posizione su di essa. Quindi si vedrà se, come io credo auspicabile e forse inevitabile, sarà possibile avviare la costruzione di un rassemblement di centro-destra, sull’esempio dei Repubblicani di Sarkozy in Francia (e magari con lo stesso nome). Al suo interno andrebbero definite regole che permettano a tutti di conservare la propria identità e le proprie idee, di pesarle, quindi di conciliarle con quelle degli altri in una piattaforma comune, e infine di presentarsi alle elezioni. Il sistema dell’Italicum, come sa, premierà il primo partito: quel partito potrebbe essere il rassemblement di cui sopra».

 

Secondo Lei è fondato il timore che il sistema politico italiano possa strutturarsi attorno al bipolarismo Renzi-Grillo?

 

«Al peggio non c’è fine, e in politica non si può escludere nulla. In quella ipotesi il Pd si trasformerebbe in “partito della nazione” e Grillo tenterebbe probabilmente di mutare pelle, mescolando populismi di destra e sinistra, conformismi digitali, trovate da palcoscenico e proposte choc. Il renzismo si trasformerebbe allora in regime e l’Italia entrerebbe in una fase politica insieme statica e molto pericolosa. Ma se i liberali si muoveranno in tempo, questi rischi si possono scongiurare».


Politica ed impegno civico: un connubio da cui ripartire?

 

«Una delle grandi battaglie a cui è chiamata IDEA, secondo me, è quella di aprire, anzi spalancare le porte della politica ai cittadini. Democrazia diretta significa consentire a chi ha doti e idee efficaci di competere. Le liste civiche possono essere il trampolino giusto per sconfiggere il verticismo dei partiti che amano mettere gli elettori di fronte al prendere o lasciare sui nomi e sui programmi. Anche qui, però, un’avvertenza: non deve essere sufficiente il proclamarsi “civici” per ottenere  l’appoggio; solo dopo che sarà stata data risposta alle proposte programmatiche, e se verrà preso un impegno chiaro al riguardo da parte dei candidati, essi potrebbero essere sostenuti».

 

Tra pochi mesi le elezioni amministrative avranno una sicura valenza nazionale. Si vota anche a Milano, la sua città. Quale giudizio ha maturato sull’esperienza Pisapia?

 

«Il sindaco Giuliano Pisapia ha avuto l’abilità di sfruttare, a grandi linee, l’abbrivio di chi lo ha preceduto, cominciando dall’Expo. Per sfortuna sua e dei cittadini milanesi, si è ritrovato fin dall’inizio piombo nelle ali: grigi esponenti della vecchia sinistra burocratica come la vicesindaco Francesca Balzani o l’assessore Pierfrancesco Majorino.  Nell’insieme, anche se la ventata arancione che gonfiò le vele di Pisapia è esaurita, credo che la maggior parte dei milanesi sia comunque disposta a concedergli oggi un voto di risicata sufficienza».


Una sufficienza che è merito specialmente dell’Expo? Si è detto di recente che abbia consentito a Milano di riproporsi come capitale morale del Paese.

 

«L’Expo è il simbolo ambiguo della Milano di  Pisapia: un sindaco aperto e addirittura spregiudicato nella gestione del territorio, e una squadra intorno a lui senza originalità né iniziative innovatrici. Infatti Pisapia prima ha osteggiato l’Expo, poi l’ha ereditato dalla giunta Moratti e ne ha tratto i dividendi politici. Ma anche qui, l’esito è a doppia lettura. Un indubbio successo organizzativo e di immagine, ma un fallimento nei contenuti: come si fa ad affidare il tema del cibo e dell’agricoltura sostenibile a una Expo edificata sul consumismo e la cementificazione del sito espositivo ? La stessa ambiguità vale per il suo simbolo, l’Albero della Vita: esteticamente brutto, e tuttavia spettacolare e con successo di pubblico».

 

Il centrosinistra meneghino sembra orientato a scegliere il candidato sindaco passando per le primarie. Probabili competitor Giuseppe Sala e l’attuale vicesindaco Francesca Balzani. Il centrodestra appare in ritardo sulla tabella di marcia. Lei ha già in mente un nome da proporre per la corsa a Palazzo Marino ?

 

«Se, come credo, il centrosinistra sceglierà un manager credibile come Giuseppe Sala, sarà importante opporgli un nome di prestigio che rappresenti la volontà di riscossa della Milano liberale, imprenditoriale e produttiva. I possibili candidati non mancano, da Salvatore Carrubba, attuale presidente del Piccolo Teatro, all’imprenditore Adriano Teso, senza dimenticare la grande esperienza manageriale di Corrado Passera. Io credo che una carta importante da giocare sarebbe quella di Piero Ostellino, grande direttore storico del Corriere della Sera, inattaccabile sul piano della cultura e dell’integrità personale. Tuttavia la parola definitiva dovrebbe venire dagli elettori milanesi di centrodestra attraverso le primarie. Dovremmo esigerle: sarebbe la scelta più conveniente per tutti, politica e di immagine».